La cannabis light non è illegale: i tribunali smontano il decreto sicurezza

Rassegna Stampa: 17 Ottobre 2025 – Mario Catania – L’INDIPENDENTE – Fonte: https://www.lindipendente.online/2025/10/17/la-cannabis-light-non-e-illegale-i-tribunali-smontano-il-decreto-sicurezza/

Enrico stava montando il capannone per la festa del suo 35esimo compleanno in provincia di Belluno, e come regalo si è visto arrivare 12 agenti della polizia antidroga che l’hanno arrestato, trattandolo come un narcotrafficante. L’accusa? Quella di detenzione con fini di spaccio di stupefacenti, ma la realtà è ben diversa. Con la sua azienda, La Mota, da 8 anni Enrico coltiva canapa industriale con THC sotto i limiti di legge, italiani ed europei, con un’azienda registrata, pagando tasse e facendo fatture quando vende la propria merce. Gli agenti non hanno voluto nemmeno effettuare il campionamento per verificare tramite analisi scientifiche i livelli di THC delle piante, hanno sequestrato il campo e volevano procedere con l’incenerimento. Il tutto è stato bloccato dal tempestivo intervento del suo avvocato, Lorenzo Simonetti, di Tutela Legale stupefacenti, che ha portato la procura a scarceralo immediatamente, scrivendo nero su bianco che: «Trattandosi esclusivamente di infiorescenze di cannabis, fino a quando non saranno disponibili le analisi di laboratorio sulle sostanze sottoposte a sequestro, non è possibile neanche stabilire la gravità in concreto della condotta, non potendosi considerare determinante il mero dato ponderale».

Da agricoltori a criminali

Lo stesso giorno, il 10 ottobre, questa volta a Palermo, un altro agricoltore, che coltiva canapa industriale dal 2019, è stato arrestato ed è rimasto in carcere per due giorni. Qui il giudice ha convalidato l’arresto, ma non ha accolto la richiesta di misure cautelari come carcere o domiciliari. Nell’ordinanza di scarcerazione si può leggere che: «Allo stato, unitamente alla circostanza che non basta che si tratti di cannabis (più tecnicamente, non è sufficiente la conformità del prodotto al tipo botanico vietato dal T.U. Stupefacenti), bensì occorre sempre valutare l’effettiva capacità drogante del prodotto ceduto o detenuto (cfr. Cass. Pen., SSUU 12348/2019), impedisce di configurare, i gravi indizi del reato contestato».

Pochi giorni prima era toccato a un altro imprenditore agricolo, questa volta in Puglia. Dopo 3 giorni di carcere il Gip, giudice per le indagini preliminari, ha rigettato la richiesta di custodia cautelare in carcere del PM, ordinando invece l’immediata scarcerazione, senza nessuna misura cautelare. Nelle motivazioni, il giudice sottolinea che: «Allo stato non è affatto scontato che il materiale abbia efficacia drogante o psicotropa» e che, senza analisi scientifiche valide e tracciate, non sussistono gravi indizi di colpevolezza.

Un cortocircuito legislativo e giudiziario

Cosa sta accadendo? Dopo il decreto sicurezza, che vorrebbe considerare il fiore di canapa come uno stupefacente indipendentemente dai livelli di THC – un’impostazione cha fa a pugni con la scienza, con decine e decine di sentenze, e con lo stato di diritto, come è stato sottolineato da una relazione della Corte di Cassazione a inizio anno – procure un po’ troppo zelanti hanno fatto il passo che nessuno si aspettava: non più sequestri e processi, gli agricoltori di canapa vanno direttamente in carcere, senza nemmeno effettuare le analisi. Un’aberrazione del diritto, che porta in galera lavoratori onesti poi dipinti dalla stampa locale come dei novelli Pablo Escobar. Che però vengono puntualmente rimessi in libertà avvalorando il principio che le associazioni di settore portano avanti da anni: se non c’è efficacia drogante e per la prassi giurisprudenziale italiana deve essere sopra lo 0,5% di THC, non c’è reato.

Ecco perché gli avvocati insistono su un punto: prima di incidere sulla libertà personale o sull’operatività delle imprese, occorrono campionamenti in contraddittorio, catena di custodia, laboratori accreditati e misure conformi ai protocolli europei (campionamento rappresentativo, doppio campione per controanalisi, essiccazione entro 48 ore, determinazione cromatografica su campione a peso costante). E i giudici stanno dando ragione a loro, non al governo che ha voluto questa legge.

Torino, sequestro archiviato: “il fatto non sussiste”

Il problema è che, nonostante le continue e nette vittorie giudiziarie, le procure non si fermano. L’ultimo sequestro è avvenuto nei giorni scorsi a Forlì, dove sono stati confiscati oltre 250 chili di infiorescenze di cannabis light, per un valore commerciale di circa due milioni di euro.

Nei giorni precedenti la vittima designata era stata la città di Torino, dove però è già arrivata la prima archiviazione, in un processo iniziato a settembre. Il gip ha accolto la richiesta della procura perché “il fatto non sussiste”. E nello spiegare le motivazioni scrive: «Ciò che è emerso è la presenza di THC ma senza indicare una percentuale, per cui, essendo lecita la vendita di cannabis sativa purché con un contenuto di THC inferiore allo 0.6 %, potrebbe operare una causa di esclusione dell’antigiuridicità». Tradotto: la cannabis light, come sostengono associazioni, imprenditori, commercianti, e anche giudici, è legale se il THC è sotto i limiti di legge; è chiaro e logico per tutti, meno che per chi ci governa.

Europa e Italia

Intanto, in Europa, il Parlamento europeo ha approvato l’emendamento proposto dall’eurodeputata Cristina Guarda di AVS che considera la canapa come un prodotto agricolo, legale in ogni sua parte, fiore compreso, con THC fino allo 0,5%. Il prossimo passo sarà la discussione al Consiglio europeo con i vari Stati membri. «L’Europa manda un segnale chiaro: la canapa non è un tabù, ma una risorsa strategica per la transizione ecologica e per la competitività delle nostre campagne», ha sottolineato, chiedendo al governo di «abbandonare l’oscurantismo del decreto sicurezza e riconoscere finalmente dignità e prospettive a un settore che chiede solo regole certe per crescere». Da noi, invece, è arrivato l’ennesimo appello di Confagricoltura che, come le altri grandi associazioni agricole, in questa battaglia si è da subito schierata in favore della pianta a sette punte. L’associazione chiede al ministero dell’Interno «l’adozione urgente di un Atto di Interpretazione Autentica, che confermi in modo inequivocabile la piena liceità delle attività legate alla canapa industriale». Lo scopo? «Garantire agli operatori del settore la sicurezza giuridica necessaria per continuare a lavorare, evitando blocchi produttivi o sanzioni ingiustificate».

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Mario Catania

Giornalista professionista freelance, specializzato in cannabis, ambiente e sostenibilità, alterna la scrittura a lunghe camminate nella natura.

La cannabis light vince ancora: tre tribunali smontano il decreto sicurezza

Rassegna Stampa: 15 ottobre 2025 di Giulio Cavalli – DOMANI – Fonte: https://www.editorialedomani.it/politica/italia/cannabis-light-sentenze-decreto-sicurezza-controlli-scientifici-fc6lamku

Tre tribunali hanno dato torto al governo Meloni nel giro di 48 ore

Da Palermo a Torino, i giudici bocciano l’approccio repressivo del governo: servono prove scientifiche, non arresti a vista. In assenza di prove sull’efficacia drogante, la canapa resta legale

Nel giro di quarantotto ore tre tribunali italiani – Palermo, Belluno e Torino – hanno dato torto al governo Meloni sulla canapa industriale. Le pronunce, tutte depositate tra il 12 e il 14 ottobre, smentiscono l’impianto del decreto sicurezza che aveva equiparato la cannabis light agli stupefacenti, imponendo una stretta che da mesi paralizza il settore agricolo e commerciale. I giudici hanno ribadito un principio elementare: senza analisi di laboratorio che certifichino la presenza di Thc oltre i limiti di legge, non esiste alcun reato.

A Belluno, la procura ha disposto la scarcerazione immediata di un coltivatore arrestato il 10 ottobre, precisando che «non risultano indici univoci di spaccio» e che il solo peso del materiale non può fondare accuse di traffico. Il decreto di liberazione, emesso ex art. 121 disp. att. c.p.p., chiarisce che fino all’esito di accertamenti tecnico-analitici «non è possibile stabilire la gravità in concreto della condotta». Analoga la posizione del tribunale di Palermo, che ha annullato il sequestro di infiorescenze in un’azienda agricola: il giudice ha escluso l’esistenza di prove sull’efficacia drogante e ha ricordato che la conformità botanica non basta per configurare un illecito. A Torino, infine, il pubblico ministero ha chiesto e ottenuto l’archiviazione di un procedimento per vendita di canapa light perché «il fatto non sussiste»: i test avevano rilevato la presenza di Thc, ma senza indicarne la percentuale.

Conta la verifica

In tutti e tre i casi, i magistrati si sono richiamati alla relazione n. 33/2025 dell’Ufficio del Massimario della Cassazione, secondo cui l’articolo 18 della legge 80/2025 non introduce un divieto assoluto, ma ha valore puramente ricognitivo rispetto al quadro preesistente. La legge insomma deve essere interpretata in modo conforme alla Costituzione e al diritto dell’Unione europea, imponendo la verifica “tecnico-scientifica dell’offensività in concreto”.

Il dato scientifico diventa dunque il discrimine tra lecito e illecito. I narcotest di campo, usati di routine dalle forze dell’ordine, sono stati ritenuti strumenti non idonei perché rilevano genericamente la presenza di cannabinoidi, dando quasi sempre esito positivo anche per prodotti legali. Senza una quantificazione del Thc attivo – misurato dopo la decarbossilazione e in contraddittorio con il produttore – non è possibile privare un cittadino della libertà personale né bloccare un’attività economica.

I giudici indicano una strada uniforme: campionamento rappresentativo, doppio campione per controanalisi, catena di custodia, analisi presso laboratori accreditati e misura del Thc “attivo” su campione a peso costante. È la sequenza minima per evitare sequestri «a vista» e procedimenti destinati a cadere all’esito delle verifiche, con costi a carico dei contribuenti e danni alle aziende agricole.

Il presidente di Canapa Sativa Italia, Mattia Cusani, parla di una svolta attesa: «Le corti stanno riconoscendo che la legge 80 è solo ricognitiva della normativa già esistente e delle Sezioni Unite del 2019. Quello che era legale resta legale, quello che era illegale resta illegale». Cusani segnala dissequestri imminenti, cause civili di accertamento in più distretti e il contenzioso ancora aperto sulle “officinali”, cioè sulla non inclusione della canapa tra le piante medicinali autorizzate alla coltivazione e trasformazione. Una questione che il Consiglio di Stato dovrà chiarire nelle prossime settimane, dopo che la categoria ha vinto in primo grado.

Italia esportatrice

Il settore, come ricorda la giurisprudenza più recente e gli atti di causa, non è un’anomalia: parliamo di una filiera agricola e para-industriale che negli ultimi anni ha mobilitato investimenti, occupazione e indotto, con l’Italia tra i principali esportatori europei. La chiusura del canale infiorescenze drenerebbe centinaia di milioni e migliaia di posti di lavoro, senza alcun beneficio misurabile in termini di sicurezza pubblica: i precedenti di Trento e di altre corti mostrano che sotto lo 0,3 per cento di Thc «non sussistono rischi tali da giustificare un divieto assoluto». Anche per questo la stessa Cassazione ha richiamato il principio di proporzionalità e l’offensività in concreto come bussola per le Procure.

Le decisioni di Palermo, Belluno e Torino arrivano a un anno dal decreto voluto dai ministri Piantedosi e Lollobrigida, che aveva equiparato le infiorescenze di canapa agli stupefacenti. Già a settembre, il tribunale di Trento ha affermato che un contenuto di Thc inferiore allo 0,6 per cento «non comporta rischi tali da giustificare un divieto assoluto di commercializzazione». Ora le nuove ordinanze consolidano una giurisprudenza che sposta il baricentro dall’ideologia alla verifica scientifica, mentre a Bruxelles avanza l’armonizzazione: l’uso dell’intera pianta in ambito agricolo e una soglia Ue più coerente con il mercato interno sono all’ordine del giorno.

Per Cusani, «le istituzioni italiane stanno solo prendendo tempo». Intanto, però, i tribunali chiedono metodi, non slogan: niente automatismi punitivi, sì a controlli seri e comparabili in tutta Italia. In assenza di prove sull’efficacia drogante, la canapa resta legale. E il decreto sicurezza, ancora una volta, vacilla sotto il peso dei fatti e delle sentenze.

𝗟𝗮𝘃𝗼𝗿𝗮𝘁𝗼𝗿𝗶 𝗲 𝗹𝗮𝘃𝗼𝗿𝗮𝘁𝗿𝗶𝗰𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗰𝗮𝗻𝗮𝗽𝗮 𝘁𝗿𝗮𝘁𝘁𝗮𝘁𝗶 𝗱𝗮 𝗰𝗿𝗶𝗺𝗶𝗻𝗮𝗹𝗶

Rassegna Stampa: 14 Ottobre 2025 Tratto da FACEBOOK di VALENTINA CERA di AVS

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 𝗟𝗮𝘃𝗼𝗿𝗮𝘁𝗼𝗿𝗶 𝗲 𝗹𝗮𝘃𝗼𝗿𝗮𝘁𝗿𝗶𝗰𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗰𝗮𝗻𝗮𝗽𝗮 𝘁𝗿𝗮𝘁𝘁𝗮𝘁𝗶 𝗱𝗮 𝗰𝗿𝗶𝗺𝗶𝗻𝗮𝗹𝗶.
Oggi in presidio sotto il Consiglio regionale.

A Torino e provincia i negozi di cannabis legale vengono perquisiti, i prodotti sequestrati, le persone denunciate come spacciatori.
Tutto questo a causa dell’articolo 18 del DL Sicurezza, che distrugge un intero settore economico in nome della propaganda proibizionista di questa destra.

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 “Sono entrati nel mio negozio, hanno sequestrato tutto e mi hanno denunciato per spaccio. Avevo le fatture, le analisi, tutto in regola.”

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 “Mi hanno trattato come un criminale davanti ai clienti. Non sono uno spacciatore, sono un lavoratore.”

Queste sono solo alcune delle testimonianze che ho raccolto da chi lavora nella filiera della canapa. Persone oneste, con un’attività regolare, lasciate in un limbo legislativo e abbandonate dalla Regione Piemonte, che non ha ancora attivato il tavolo di crisi richiesto da mesi.

In Piemonte sono circa 1000 gli operatori che rischiano di perdere il lavoro.
Con un nuovo Question Time in Aula, ho chiesto alla Giunta regionale di:

🔹

 tutelare questi lavoratori e lavoratrici;

🔹

 attivare subito ristori per le attività colpite;

🔹

 smettere di distruggere un settore legale, ecologico e in piena espansione.

💬

 I negozianti di canapa non sono spacciatori: sono lavoratori, artigiani, imprenditori che pagano le tasse e chiedono solo di poter continuare a lavorare.

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 Basta persecuzioni, basta propaganda.
Fermiamo questa follia ideologica che danneggia l’economia legale e favorisce la criminalità.

Una canna in consiglio regionale per difendere i lavoratori della canapa legale

Rassegna Stampa: 14 Ottobre 2025 di Andrea Gatta – La Repubblica – Fonte: https://torino.repubblica.it/cronaca/2025/10/14/news/canna_consiglio_regionale_piemonte_canapa_legale-424912515/

La polemica in consiglio regionale sfocia nella canna, con inflorescenza legale, girata dalla capigruppo M5S Sarah Disabato mentre illustra la sua interrogazione in difesa dei lavoratori della canapa, nonostante le rimostranze del presidente di turno, Il leghista Fabio Carosso. “Non ha effetto drogante ribatte l’esponente M5S -. Prima del decreto sicurezza questo prodotto si trovava nei negozi di cannabis light e self service”. Davanti a Palazzo Lascaris una delegazione di negozianti, accompagnati dalla consigliera Avs Valentina Cera, protesta invece contro sequestri e denunce subiti nelle ultime settimane a Torino e provincia. Arriva in Regione il caso dell’art. 18 del dl sicurezza, che ha istituito il divieto per tutte le attività legate ai fiori di canapa, inclusi gli utilizzi leciti. Sono 1000 i lavoratori del settore a rischio, “trattati da criminali in nome di una bieca propaganda ideologica” secondo la denuncia di Cera, che a sua volta ha presentato un question time. La Regione, aggiunge, “aveva promesso l’istituzione di un tavolo e invece sta a guardare”. “È Incredibile – ribadisce poi Disabato – che la giunta regionale non prenda posizione per difendere gli operatori del settore della canapa e le imprese vessate a seguito dell’articolo 18 del decreto Sicurezza”.

Canapa, i silenzi di Prandini e Coldiretti dopo le critiche al decreto Sicurezza. E i coltivatori sono indagati per droga

Rassegna Stampa: 30 Settembre 2025 di Paolo Dimalio – CRONACA da Il Fatto Quotidiano – Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/09/30/canapa-industriale-sequestri-indagini-coltivatori-news/8140274/

Contro la norma per vietare la cannabis light, il presidente tuonava: “Non lasceremo soli i nostri imprenditori, a costo di arrivare nelle sedi giudiziarie”. Era il 14 novembre 2024: da allora il silenzio, per non compromettere il dialogo con il governo

Tace Coldiretti sulla canapa industriale, mentre gli agricoltori sono colpiti da sequestri e indagati per droga. Tanto da indurre la senatrice pentastellata Sabrina Licheri ad interpellare il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida: “Intere piantagioni di canapa distrutte” dalle forze dell’ordine, “prima ancora di verificarne l’effetto drogante”, ha denunciato la parlamentare. Rischiano 20 anni di galera, i coltivatori, per via del decreto Sicurezza ispirato dal braccio destro di Giorgia Meloni, Alfredo Mantovano.

Era il 14 novembre 2024, quando Ettore Prandini (presidente Coldiretti) annunciò “un’interlocuzione col sottosegretario”, auspicando la modifica dell’articolo 18, la norma per bandire le infiorescenze e radere al suolo il mercato della cannabis Light. Il numero 1 dell’associazione lanciò l’appello a Mantovano dal convegno romano di palazzo Rospigliosi, scandendo l’avviso per palazzo Chigi: “Non lasceremo soli i nostri imprenditori di canapa, a costo di arrivare nelle sedi giudiziarie”. Invece l’associazione degli agricoltori, vicina al governo Meloni, si tiene distante dai tribunali e da tempo è muta. Dietro le quinte, prova a mediare con il governo nell’interesse dei coltivatori. Fino ad ora, con scarsi risultati: basta parlare con gli imprenditori indagati e colpiti dai sequestri.

Eppure Prandini, al convegno novembrino di palazzo Rospigliosi nella Capitale, era stato chiaro: “Chiudere le attività produttive e soprattutto il futuro di migliaia di giovani noi lo riteniamo assolutamente inconcepibile”. Ne aveva ben donde: in gioco ci sono 30mila lavoratori, 150 milioni di gettito fiscale per un fatturato di 500 milioni l’anno. Di colpo, grazie al decreto del governo il 4 aprile, le imprese hanno dovuto annullare ordini di esportazione per il 90% del mercato delle infiorescenze. Anche per queste ragioni, il 23 giugno scorso il massimario della Cassazione ha sollevato seri dubbi di legittimità costituzionale.

Profondo scetticismo l’aveva espresso anche Coldiretti. La newsletter del primo agosto 2024, con la norma appena approvata in Commissione, titola: “A rischio la sopravvivenza di un intero settore”. Il catenaccio invoca la tutela di “tutte quelle aziende che hanno legittimamente investito nella canapa”. Il 12 settembre 2024 Montecitorio approva l’articolo 18 e la newsletter apre così: “La Camera affossa la sopravvivenza del settore”. L’ultimo acuto è del 14 novembre: “Ddl Sicurezza cancella filiera da mezzo miliardo, canapa italiana chiede modifica della legge”. È il giorno del convegno a palazzo Rospigliosi, con Prandini ad annunciare l’incontro, “in tempi brevi”, con Alfredo Mantovano. Da allora la canapa è sparita dai comunicati firmati Coldiretti. L’unica eccezione è a ridosso dell’approvazione del decreto Sicurezza, il 5 aprile, con l’auspicio della retromarcia a Chigi grazie ad “un confronto istituzionale, evitando di compromettere, definitivamente, un comparto agricolo strategico”.

Il confronto istituzionale, a dire il vero, era già iniziato il 14 novembre. Il presidente della commissione agricoltura – il fratello d’Italia Luca De Carlo – aveva espresso la disponibilità a mediare con il governo, per istituire un tavolo tecnico ed emendare il famigerato articolo 18. La soluzione è stata valutata: salvare gli agricoltori della canapa e mandare a picco i negozi di cannabis light, vietando solo l’uso ricreativo. Non se ne è fatto nulla. Ma il governo ha rassicurato i coltivatori in tutti modi. Il filo tra Chigi e Coldiretti, sulla canapa, pare sia ancora integro. L’associazione guidata da Prandini non ha cambiato idea: l’articolo 18 deve essere modificato per tutelare i coltivatori.

Ma è consigliato abbassare i toni, mitigare il dissenso pubblico. Sulla canapa qualcuno avrebbe preferito alzare la voce invece ha taciuto. Perché i tavoli di confronto, tra la sigla degli agricoltori e palazzo Chigi, sono numerosi ed evitare rotture è imperativo. Il 26 settembre sotto il vessillo Coldiretti è sceso in piazza il popolo del grano, contro i “trafficanti” colpevoli di prediligere il “prodotto straniero, per far crollare i prezzi di quello italiano”. Non una parola sul governo Meloni, nel comunicato dell’associazione: il bersaglio sono misteriosi “speculatori”. Mentre le grane degli agricoltori si moltiplicano, a leggere la newsletter di Coldiretti: dazi, Mercosur, concorrenza sleale contro coltivatori di riso e florovivaisti. Ma i responsabili sono solo a Bruxelles, mai a Roma.

Blitz nelle rivendite di cannabis light a Torino: sequestrate tonnellate di infiorescenze, negozianti rischiano fino a 20 anni di carcere

Rassegna Stampa: del 24 settembre 2025 di Ludovica Lopetti – Corriere Della Sera – Fonte: https://torino.corriere.it/notizie/cronaca/25_settembre_24/maxi-blitz-nelle-rivendite-di-cannabis-light-a-torino-sequestrate-tonnellate-di-infiorescenze-negozianti-rischiano-fino-a-20-3794e6fb-beac-4f0d-b1c7-2b344be47xlk.shtml

Una nuova ondata di perquisizioni e sequestri ha colpito decine di rivendite di cannabis light tra Torino e provincia, i primi dopo la stretta varata dal governo. I poliziotti hanno sequestrato diverse tonnellate di infiorescenze, ma anche prodotti a base di canapa come creme, oli e tisane. Stavolta nel mirino della procura sono finite le scorte stoccate nel retrobottega dei negozi in attesa di essere smaltite.

 L’articolo 18 del decreto Sicurezza infatti ha reso punibile penalmente la produzione e il commercio dei fiori di canapa, mettendo i commercianti davanti a un bivio: molti hanno pensato di abbassare la saracinesca per mettersi al riparo da contestazioni, altri hanno continuato a vendere i prodotti non colpiti dal divieto, come fertilizzanti e semi. Una scelta che ora rischia di costare loro cara: diversi risultano indagati per detenzione di stupefacenti a fini di spaccio. Rischiano la reclusione da sei a venti anni o la multa da 26 mila fino a 260 mila euro. E pazienza se il decreto Sicurezza non ha indicato ai rivenditori come disfarsi della merce che non può più essere venduta. 

In questa zona grigia, ciascuno ha fatto come meglio credeva: alcuni l’hanno sigillata in sacchi di nylon, altri l’hanno lasciata in esposizione con la dicitura «in attesa di smaltimento». Lunedì i negozianti coinvolti (difesi dall’avvocato Beatrice Rinaudo) sono stati portati negli uffici della questura, dove la merce in sequestro è stata pesata e sottoposta ai test rapidi che rilevano il thc, il principio psicoattivo. A poco è servito esibire esami di laboratorio, certificazioni e fatture.

La nuova inchiesta arriva dopo che pochi giorni fa una procura ligure ha restituito a un agricoltore, indagato anch’egli per commercio di stupefacenti, 57 piante, 90 confezioni di olio di canapa e 5 chili di infiorescenze perché risultati privi di «efficacia drogante». È stato il primo provvedimento di dissequestro delle infiorescenze dopo il dl Sicurezza. A luglio era stata la stessa procura di Torino a chiedere e ottenere l’archiviazione di un’altra inchiesta sulla canapa industriale, parlando di «attività commerciale essenzialmente lecita».

«Anche in quel caso tutti i prodotti sono risultati legali e certificati, ma i sequestri hanno messo in ginocchio decine di aziende, alcune delle quali costrette a chiudere — commenta Luca Fiorentino, referente piemontese dell’associazione Canapa Sativa Italia —. Ora ci risiamo. Tutto questo appare surreale e sembra assumere i contorni di una vera e propria persecuzione». 

Cannabis light, il bluff del decreto Sicurezza: “Sequestri in calo, ma imprenditori spaventati”. 3 su 10 hanno chiuso bottega

Rassegna stampa: CRONACA – 7 Settembre 2025 – di Paolo Dimalio – IL FATTO QUOTIDIANO – Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/09/07/cannabis-light-decreto-sicurezza-sequestri-imprenditori-news/8114148/

Malgrado i proclami, la guerra delle destre sembra congelata. L’avvocato Zaina: “L’articolo 18 è un deterrente di mera apparenza per scoraggiare le aziende”

Il decreto Sicurezza doveva stroncare la vendita della cannabis light, invece le bustine con le infiorescenze sono ancora in vendita e la maggior parte dei negozi non ha abbassato la saracinesca. Secondo le associazioni Canapa sativa Italia e Federcanapa, su circa mille esercizi commerciali il 20 o 30 per cento ha chiuso i battenti, mentre gli altri resistono nel terrore di sanzioni. Eppure, ad oggi, la “lunga guerra” delle destre al fiore verde appare congelata. Dopo il via libera al decreto sicurezza i sequestri di cannabis light sono perfino diminuiti, sostiene l’avvocato Carlo Alberto Zaina: “I provvedimenti amministrativi o penali, come i sequestri di prodotti a base di Cbd, sono in calo negli ultimi mesi. Del resto già il massimario della Cassazione ha recentemente criticato la fondatezza e la costituzionalità dell’articolo 18, che prevede il divieto di vendita e lavorazione del fiore della canapa”. Ecco l’ipotesi di alcuni addetti ai lavori: per evitare il ricorso alla Corte costituzionale e la bocciatura della norma sponsorizzata dal meloniano Alfredo Mantovano, l’unico modo è limitare più di prima provvedimenti amministrativi e denunce penali contro le aziende della cannabis light. Altro che giro di vite: per ora, il divieto del fiore sarebbe un bluff per spaventare il settore. “L’articolo 18 è, in realtà, un deterrente di mera apparenza per scoraggiare gli imprenditori, ma è stato applicato in modo concreto, sinora, eccezionalmente e sporadicamente. Pertanto non ha affatto mutato il quadro giuridico preesistente, né ha determinato, per ora, ricadute significativamente negative, sul piano penale, per commercianti o coltivatori”, dice Zaina.

L’attesa per la circolare ministeriale – Che il quadro sia immutato lo ha ammesso il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida l’11 luglio scorso, annunciando una circolare per rassicurare gli agricoltori sul piede di guerra: “Ciò che era lecito resta lecito e quello che era vietato continua ad esserlo. La norma si limita a ribadire il divieto già esistente” sulle infiorescenze della canapa. Un sofisma per ribadire che nulla è cambiato, anche dopo il bando del fiore via decreto. Non una cattiva notizia per le imprese. Lollobrigida infatti ribadisce un divieto sovente negato dai giudici: “Le sentenze di assoluzione nei processi avviati prima del decreto sicurezza continuano ad essere pronunziate, per gli imprenditori della light accusati di spaccio di droga – dice Zaina – In questi anni ho seguito quasi un centinaio di casi in tutta Italia e ben oltre il 90 per cento si è concluso con assoluzioni, credo sia una tendenza sempre più diffusa”. Il meloniano Lollobrigida ha tenuto a rassicurare gli agricoltori: “Il Governo, consapevole delle preoccupazioni espresse dagli operatori, ha previsto una circolare che verrà diffusa con un’interpretazione autentica. Voglio comunque affermare che sosterremo in ogni modo il settore agricolo-industriale legato alla produzione della cannabis”. Alla scrittura del documento lavorano i ministeri dell’Agricoltura, dell’Interno e il dipartimento antidroga di palazzo Chigi: il contenuto è blindato.

Frizioni con Coldiretti – L’obiettivo del governo è salvare gli agricoltori (come chiede Coldiretti) e bandire la cannabis light: una missione quasi impossibile, perché la vendita delle infiorescenze traina le coltivazioni della canapa, in netta crescita. Anche per questo l’associazione guidata da Ettore Prandini – vicinissima al governo Meloni – ha stroncato l’articolo 18 come una batosta per migliaia di aziende agricole. Che ricordano bene il discorso di Meloni all’indomani della vittoria elettorale: “Il nostro motto sarà ‘non disturbare chi vuole fare’. Chi fa impresa va sostenuto e agevolato, non vessato”. Ora invece sono gli agricoltori “amici” del governo a sentirsi “vessati” da palazzo Chigi. In Europa Forza Italia, con Flavio Tosi, ha chiesto il passo indietro sulla canapa, emulata dalla Lega nel consiglio regionale veneto. Le aule elettive di Puglia ed Emilia Romagna hanno chiesto ai loro presidenti – Michele Emiliano e Michele de Pascale – di valutare il ricorso alle Corte. Per ora non si muove nulla.

L’incertezza della sopravvivenza – Intanto, i provvedimenti sanzionatori sono diminuiti ma non spariti, specie nelle Marche. In Sardegna un’azienda agricola ha subito il sequestro di una piantagione di canapa. L’imprevisto è dietro l’angolo, come sa bene l’azienda Enecta: sito di e-commerce chiuso per due mesi, su ordine del ministero della Salute, per un prodotto a base di Cbd destinato agli animali. Risultato: fatturato a picco sull’orlo della sopravvivenza. Con il rischio di un risarcimento danni da parte dello Stato. Contro l’articolo 18 del decreto sicurezza le associazioni hanno depositato un’azione di accertamento nei tribunali civili di Firenze, Genova, Bologna, Milano e Trento. Nel capoluogo del trentino Alto Adige si attende la pronuncia dopo l’udienza dell’8 agosto. La speranza della associazioni è che il giudice rimetta il caso giunga alla Coorte costituzionale o alla Corte di Giustizia Europea.

Una delle più grosse inchieste sulla cannabis light è finita nel nulla

Rassegna Stampa: 4 settembre 2025 – Il Post – Fonte: https://www.ilpost.it/2025/09/04/torino-inchiesta-cannabis-light-archiviata/

Dopo più di due anni sono state dissequestrate infiorescenze per 18 milioni di euro, che però a questo punto non si possono più vendere

Una pianta di cannabis light (Antonio Masiello/Getty Images)

Un giudice del tribunale di Torino ha archiviato le accuse nei confronti di 14 persone coinvolte in una delle più grosse inchieste aperte sulla cannabis light, che prima della legge approvata lo scorso aprile poteva essere prodotta e venduta senza problemi. L’inchiesta era stata aperta più di due anni fa e le persone erano state accusate di produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti. Erano state coinvolte diverse aziende e in totale erano state sequestrate quasi 2 tonnellate di infiorescenze dal valore di circa 18 milioni di euro. Il giudice ha accolto la richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero che aveva definito l’attività «essenzialmente lecita».

Negli ultimi anni sono state aperte diverse indagini simili che hanno creato non pochi problemi ai produttori e ai commercianti di cannabis light.

Quasi tutte le inchieste si basavano su interpretazioni diverse e fuorvianti della legge, e sul principio che la cannabis light sia una sostanza stupefacente. In realtà la cannabis light ha un livello molto basso di THC, il componente psicoattivo comunemente associato all’effetto stupefacente della marijuana, mentre contiene maggiori quantità di CBD, principio attivo che provoca un più blando effetto di rilassatezza.

Fino allo scorso aprile in Italia la coltivazione e la vendita della cannabis light erano concessi grazie a un vuoto legislativo della legge 242 del 2 dicembre 2016, approvata per regolamentare la coltivazione della canapa per fini industriali. La legge permetteva a chiunque di coltivare cannabis senza autorizzazioni se i prodotti erano idonei alla produzione di alimenti e cosmetici, di materiale destinato alla bioedilizia, all’attività didattica o alla ricerca, alla bonifica di siti inquinati, al florovivaismo (la coltivazione di fiori).

La legge non faceva esplicito riferimento al consumo ricreativo: la mancanza di un preciso divieto aveva permesso alle aziende di coltivare la cannabis light senza avere conseguenze legali. Negli anni c’erano state diverse sentenze, anche della Corte di Cassazione, che avevano permesso il commercio di cannabis light e soprattutto avevano escluso che sia una sostanza stupefacente (poi ad aprile la coltivazione e la vendita sono stati resi illegali).

Questa interpretazione aveva permesso di sviluppare un nuovo settore e l’apertura di circa tremila nuove aziende tra negozi e aziende agricole. Nell’inchiesta avviata dalla procura di Torino ne erano state coinvolte diverse tra le province di Torino, Cuneo, Forlì-Cesena, Lecce, Milano, Monza-Brianza e Rimini. Nel giugno del 2023 i carabinieri dei NAS (il nucleo antisofisticazioni e sanità) avevano perquisito 49 tra appartamenti, negozi e aziende agricole da cui erano state sequestrate quasi 2 tonnellate di infiorescenze.

Secondo i carabinieri, la cannabis light sequestrata aveva livelli di THC alti al punto da giustificare una «concreta capacità drogante». Due consulenze tecniche e chimiche condotte negli ultimi mesi hanno escluso questa accusa.

Solo una piccola parte di cannabis light era stata trovata con livelli di THC sopra la soglia, ma non era stata ancora sottoposta ai controlli previsti dai protocolli prima della vendita. Le aziende, alcune delle quali avevano anche collaborazioni con università, hanno dimostrato di seguire regole precise per gestire le infiorescenze con livelli di THC risultati sopra la soglia di legge.

Il tribunale ha ordinato il dissequestro della merce e la restituzione alle aziende coinvolte, che tuttavia non possono più venderla, con un danno complessivo da circa 18 milioni di euro: non è più conforme agli standard di qualità e soprattutto violerebbe la legge approvata dal governo lo scorso aprile che ha reso illegale l’intero settore della cosiddetta cannabis light, dalla coltivazione alla vendita.

Funghi allucinogeni contro la depressione, via alla prima sperimentazione italiana

Rassegna Stampa: di Michele Bocci del 09 Luglio 2025 – La Repubblica – fonte: https://www.repubblica.it/cronaca/2025/07/09/news/funghi_allucinogeni_depressione_sperimentazione_italiana-424720554/

L’Istituto superiore di sanità, con l’Università di Chieti, inizia lo studio sulla sostanza psichedelica psilocibina. “Grandi potenzialità, possiamo migliorare le cure dei problemi di salute mentale”

Parte la prima sperimentazione italiana sugli effetti delle sostanze allucinogene sulla depressione resistente ai farmaci. A guidarla è l’Istituto superiore di sanità, che ha avuto il via libera dall’Aifa, l’agenzia del farmaco e coinvolto un centro universitario. Si cerca di capire, come sta già avvenendo in molti altri paesi, dove sono stati avviati studi che in certi casi (Australia) hanno portato già all’utilizzo di medicinali a base di sostanze psichedeliche, quali sono gli effetti della psilocibina, la sostanza contenuta nei funghi allucinogeni. I soldi per lo studio (intorno ai 700mila euro) arrivano dal Pnrr, l’Istituto superiore di sanità ha già eseguito test preclinici e coinvolto la clinica psichiatrica di Chieti, diretta da Giovanni Martinotti, la Asl Roma 5 e gli Ospedali Riuniti di Foggia.

Lo studio italiano e i precedenti

La sperimentazione durerà 24 mesi e prevede l’arruolamento di 68 pazienti con depressione resistente. Saranno trattati con psilocibina e controllati, per valutare gli effetti. Lo studio è a doppio cieco (in cui cioè né i pazienti né gli sperimentatori sanno quale trattamento sarà somministrato al paziente), e metterà a confronto gli effetti della psilocibina con la neuromodulazione, una tecnica comunque innovativa già valutata come efficace. Nello studio italiano si utilizzeranno tecniche avanzate di neuroimaging neurofisiologia per avere immagini dettagliate del cervello per valutare gli effetti. Giovanni Martinotti spiega che il lavoro italiano è innovativo: “Siamo i primi a somministrare insieme alla psilocibina un farmaco che annulla gli effetti psichedelici, che di solito il paziente sperimenta nelle prime ore dopo l’assunzione. Gli altri lavori dicono che con una somministrazione si hanno effetti per sei mesi”. Il medicinale è messo a disposizione da un produttore canadese, attraverso un distributore polacco.

Come agisce

Dall’Istituto spiegano che la psilocibina “una volta assunta viene trasformata nell’organismo in psilocina, che agisce su recettori della serotonina, modulando l’attività delle reti cerebrali coinvolte nell’umore, nella percezione e nel pensiero”. Negli anni scorsi sono stati fatti studi clinici negli Usa, nel Regno Unito, in Svizzera e in Australia e “hanno evidenziato che una o due somministrazioni di psilocibina possono produrre effetti antidepressivi rapidi e duraturi, con miglioramenti clinici significativi persistenti fino a sei mesi in pazienti con depressione resistente ai trattamenti tradizionali”.

Le potenzialità

Il dibattito sulle potenzialità curative delle sostanze psichedeliche è ormai diffuso anche in Italia, come rivela il libro “Il bosco fiorito-Psichedelia: orizzonti di cura” (AnimaMundi edizioni) curato da Letizia Renzini, dove vari esperti analizzano diversi aspetti, tra testimonianze, situazione normativa, casistiche internazionali, esperienze di medici, per illustrare le potenzialità delle cure con sostanze allucinogene. “Siamo di fronte a un cambio di paradigma sia scientifico che culturale – dice ancora Martinotti – che ci permette di saperne di più sul potenziale antidepressivo della psilocibina e sulle sue modalità di azione. È una grande occasione per la ricerca italiana e per migliorare le cure per la salute mentale. Queste conoscenze potranno rendere l’impiego delle nuove molecole ancora più sicuro, accettabile e accessibile per l’applicazione in ambito clinico”. Francesca Zoratto, ricercatrice dell’Istituto e “principal investigator” del progetto, aggiunge che “per la prima volta potremo valutare l’efficacia della psilocibina in un contesto rigorosamente controllato e clinicamente supervisionato, ma anche esplorarne forme innovative come quella non psichedelica, che possa eliminare gli effetti allucinogeni mantenendo il potenziale terapeutico”.

Canapa italiana: condannati dalla politica, ma assolti dai tribunali

Rassegna Stampa: Mario Catania del 02/07/2025 – Dolce Vita Fonte: https://www.dolcevitaonline.it/canapa-condanna-politica-assolti-tribunali/?fbclid=IwY2xjawLSNN1leHRuA2FlbQIxMQBicmlkETA5QVZ6SjhCMmZKSXVRdElkAR4Vu-70sCZXj02gnHVBqoaEZF5eTRjJVPdlVvTfnOOXqKQ1PLQ-Ud4tEJ-Sww_aem_ylVvbn_L0GFzqmN6YJw5gA

Il governo si ostina a considerare come droga quello che resta un prodotto agricolo, ma le sentenze e la Corte di Cassazione danno ragioni ad agricoltori e commercianti, mentre un intero settore agro-industriale viene abbandonato a se stesso per una guerra ideologica

Nel Paese in cui ogni giorno si predica la legalità, lo Stato sceglie scientemente di ignorare la realtà.
Con l’ultimo decreto sicurezza, il governo ha deciso che i fiori di canapa industriale, coltivati secondo regolamenti europei e con THC sotto le norme di legge, sono da trattare come sostanze stupefacenti. Poco importa che non abbiano effetto drogante. Poco importa che la legge 242/2016 ne consenta la coltivazione e che negli anni si sia creato un settore che dà lavoro a 22mila persone e paga tasse per 500 milioni di euro l’anno. E soprattutto, poco importa che i tribunali continuino ad assolvere chi li vende, perché “il fatto non sussiste”.

Succede così che mentre la politica lancia crociate ideologiche sulla pelle di un intero comparto agricolo e commerciale, la giurisprudenza continua a dire l’opposto: la canapa sotto lo 0,5% di THC non è una droga, punto.

CANAPA: DAL PARERE DELLA CASSAZIONE ALLE SENTENZE DEI TRIBUNALI

L’ultimo esempio – lampante per la lucidità e schiacciante per la fonte da cui proviene – sono i rilievi della Corte di Cassazione nella relazione pubblicata pochi giorni fa: non solo il decreto sicurezza viene smontato punto per punto segnalando le forzature giuridiche e i possibili rilievi di incostituzionalità, ma l’emendamento canapa viene sbugiardato con i magistrati della più alta Corte italiana che mettono nero su bianco che il fiore di canapa industriale sotto lo 0,6%, come previsto dalla legge 242 del 2016, non ha efficacia drogante, che il governo ha tradito la fiducia e il patto con cittadini e commercianti, e che è una legge in contrasto con il diritto europeo. Più in là, non ci si poteva spingere.

E anche le sentenze dei tribunali, nella stragrande maggioranza dei casi, assolvono gli imprenditori e gli agricoltori. L’ultimo a uscirne pulito è stato Luca Marola, fondatore di Easyjoint e bersaglio storico della procura di Parma che gli aveva sequestrato 650 kg di infiorescenze e 20 litri di olio al CBD: assoluzione piena, il fatto non sussiste. Ancora una volta, nessun reato. Solo tempo, denaro e risorse pubbliche buttate in processi inutili.

Altro esempio? Poco dopo, ai primi di giugno, con il decreto sicurezza già in vigore, un imprenditore di settore è stato assolto dall’accusa di detenzione a fini di spaccio di 700 kg di infiorescenze di canapa industriale con THC tra lo 0,3% e lo 0,6%. È successo a Cagliari: dopo la condanna in primo grado dell’anni scorso, è arrivata l’assoluzione della Corte d’appello, come spiegato dall’avvocato Lorenzo Simonetti, che ha difeso l’imprenditore insieme al collega Claudio Miglio. Non solo, perché è stata disposta anche la restituzione della merce.

Il risultato? Un clima di intimidazione e, nel mezzo, migliaia di operatori del settore che rischiano denunce, sequestri e incertezze continue. Per capire intanto come si stanno organizzando produttori e negozianti, ne abbiamo sentiti alcuni, ecco le nostre chiacchierate.

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Tommaso, Antichi Grani e Narnia cannabis
«Non ci facciamo spaventare, restiamo aperti e continuiamo con il commercio, anche perché abbiamo dei contratti d’ingrosso all’estero, oltre a 8 dipendenti che non voglio lasciare a casa. Stiamo coltivando, più dell’anno scorso e più degli altri anni. Dall’altro lato stiamo cercando di portare la cosa sotto la lente delle istituzioni umbre, abbiamo già fatto un incontro a maggio e a breve incontreremo l’assessore all’ambiente per perorare la nostra causa. Qui in Umbria siamo compatti, ci conosciamo un po’ tutti e stiamo mantenendo questa linea. Secondo me, più che parlare di disobbedienza civile, dobbiamo ribadire il nostro diritto alla libera impresa dato che non ci è stato nessun chiarimento, nemmeno come smaltire eventuali rimanenze, quindi portiamo avanti il nostro lavoro».

Marco, Sir Canapa
«La situazione, con il decreto sicurezza, è surreale. Stanno provando a mettere in ginocchio il settore e mentre molte attività chiudere e le tabaccherie non vendono più le infiorescenze, il risultato è che molte persone tornano in strada a cercare cannabis illegale, alimentando mercato nero e mafie. Noi di Sir Canapa siamo a Milano e rimaniamo aperti, nonostante tutto. Il punto, secondo me, è che questo decreto non è pericoloso solo per le attività di settore, ma è pericoloso dal punto di vista sociale».

 Riccardo, CBWeed
«Noi andiamo avanti, anche se il momento è complicato. A metà giugno, per scelta dei titolari, 3 negozi CBWeed hanno chiuso. Tre negozi sani che stavano bene, che guadagnavano ed erano aperti da 5 anni. Tre famiglie, con le quali, nel tempo, eravamo diventati amici. Un negozio al sud, uno al centro e uno al nord, persone diverse, accomunata solamente dal fatto che lavoravano nel settore. Grazie al parere espresso successivamente dalla Cassazione, che conferma esattamente la nostra visione e ciò che sosteniamo da tempo, ci aspettiamo che i negozi possano lavorare tranquillamente».

Andrea, Bongae
«Noi stiamo continuando a operare qui in Sicilia, in modo molto trasparente, con tutte le cautele del caso e supportati dal nostro avvocato. Io mi sento nella legalità è lo Stato che ha scelto di essere illegale, e ora ne pagherà le conseguenze, anche se dovessi andare davanti a un giudice a raccontare la mia storia. Sono sereno e felice perché ho tanta speranza che mi stanno le persone comuni, i ragazzi con cui lavoro sono più determinati di me. La pianta va difesa e soprattutto cerchiamo di essere d’esempio. Ci stiamo impegnando anche su una causa ambientale, perché crediamo che la canapa sia in gran parte sostenibilità. Per comunicarlo organizziamo dei clean-up in zona Catania, dove puliamo spiagge, giardini pubblici, e parliamo di canapa. Stiamo poi portando avanti le nostre coltivazioni sperimentali, dando possibilità a chi lo voglia di adottarne una».

Marco, Canapalpino
«Colgo l’occasione per specificare una cosa: non abbiano chiuso il negozio di Longarone, come scritto in un’intervista recente de L’Internazionale in cui le mie parole sono state travisate: semplicemente l’attività è stata ceduta al ragazzo che ci lavorava. Noi andiamo avanti con i nostri due punti vendita, proponendo l’olio di CBD a uso cosmetico, ma non le infiorescenze. Avendo da tempo un buon assortimento di prodotti cosmetici, alimentari e di abbigliamento, e una clientela variegata, per il momento non ci possiamo lamentare. Certo, l’assurdità della legge resta, ma la ragione è dalla nostra parte».

Giovanni, Legal Weed e Birba Shop
«Noi stiamo andando avanti con una capacità molto ridotta, ma non ci arrendiamo. Nonostante il diritto europeo e la magistratura siano dalla nostra parte, la situazione resta difficile, visto che ad oggi il testo in Gazzetta ufficiale resta quello del decreto sicurezza. C’è comunque un grande rammarico nel vedere un mercato che, in quasi dieci anni, non è riuscito a far valere le proprie ragioni e avere delle norme valide e certe».

Il comunicato del NIC
«La cosa principale da chiarire è che il nostro, non è un atto di disobbedienza, ma è una scelta che ci vede solo ed esclusivamente aderire ai nostri diritti: come il diritto costituzionale del “legittimo affidamento”, all’interpretazione del diritto penale alla luce del principio di offensività e dell’applicazione e all’interpretazione corretta della normativa europea sulla canapa. Con la consapevolezza di possibili controlli, sequestri e denunce, siamo decisi mai come prima a non arretrare di un centimetro. Se lo Stato vorrà compiere l’ennesimo abuso di potere nei confronti di onesti imprenditori, li attenderemo sulla porta dei nostri negozi, vincendo l’ennesimo processo, accompagnati da avvocati specializzati, associazioni di settore e coperture assicurative, continuando a lavorare come abbiamo sempre fatto».