Il Marocco ha esportato per la prima volta della cannabis prodotta legalmente

Rassegna stampa dal Mondo: Il Post – Martedì 16 luglio 2024 – Fonte: https://www.ilpost.it/2024/07/16/marocco-cannabis-legale/

È uno dei principali fornitori sul mercato illegale, ma negli ultimi anni sta facendo degli sforzi per regolarizzare coltivazioni vecchie anche di secoli

La scorsa settimana il Marocco ha esportato per la prima volta della cannabis prodotta legalmente sul proprio territorio. Un carico da un quintale di resina di cannabis, cioè un estratto molto concentrato delle infiorescenze della pianta, è stato infatti venduto alla Svizzera, dove i prodotti della canapa sono autorizzati se presentano una percentuale di THC (la molecola che causa gli effetti psicotropi) inferiore all’1 per cento.

Nonostante le quantità di questa prima esportazione non siano state molto significative, la vendita è stata commentata sulla stampa locale con grande entusiasmo e aspettative per un settore potenzialmente molto remunerativo, dato che in Marocco si coltiva già parecchia cannabis ma in maniera irregolare e destinata perlopiù a trafficanti.

Già nel 2021 il Marocco aveva approvato un disegno di legge per legalizzare la coltivazione e la commercializzazione della cannabis per uso medico e industriale, con l’obiettivo di attrarre investimenti e creare nuove opportunità economiche. Ad oggi sono quasi 200 gli operatori attivi in questo settore che potrebbe rendere il paese molto competitivo su un mercato globale estremamente redditizio. Nel 2028 per la sola componente terapeutica dovrebbe superare i 50 miliardi di dollari (46,2 miliardi di euro), secondo una stima del fondo di investimento americano Insight Partners.

Lo scorso maggio la Federazione marocchina dell’industria farmaceutica e dell’innovazione (FMIIP) ha fatto sapere che il Marocco vuole assicurarsi una quota del mercato europeo della cannabis terapeutica compresa tra il 10 e il 15 per cento, che potrebbe generare un flusso di entrate annuo compreso tra i 4,2 e i 6,3 miliardi di dirham (circa 400-600 milioni di euro) da qui al 2028. Queste risorse, ha spiegato il presidente della FMIIP, serviranno anche a creare nuovi posti di lavoro e a stimolare il settore della ricerca e sviluppo farmaceutica.

L’azienda farmaceutica marocchina Sothema, che nel 2023 ha fatturato 230 milioni di euro, sta investendo da tempo nei medicinali a base di cannabis e ne ha sviluppati una quindicina per «patologie dolorose come tumori, sclerosi multipla o epilessia». Khalid El-Attaoui, direttore di Axess Pharma, specializzata in trattamenti antitumorali, prevede di commercializzare medicinali del genere entro il 2025 sul mercato marocchino e anche quello europeo, nonostante restino da rimuovere una serie di barriere normative piuttosto rigide, quando si tratta di farmaci psicotropi.

Un ruolo centrale in questa strategia lo sta svolgendo l’Agenzia nazionale per la regolamentazione delle attività legate alla cannabis (ANRAC, creata nel 2022), che si occupa di supervisionare, regolamentare e aggiornare le norme cui è sottoposto il settore. Secondo l’ANRAC la cannabis marocchina, che dai giornali locali viene definita “oro verde”, potrà essere utilizzata in vari settori: non solo quello medico, ma anche quello tessile o dell’edilizia, grazie alla possibilità di sfruttare la pianta della cannabis in modi diversi.

Alcuni mercati di nicchia, come quello dei trattamenti per animali con prodotti a base di CBD, un principio attivo non psicotropo i cui ricavi globali sono aumentati di 700 volte negli ultimi due anni, hanno già dimostrato le loro potenzialità. «Con la cannabis possiamo realizzare ciò che è stato fatto con l’automobile», che in quindici anni è diventata il primo settore di esportazione del Marocco, ha spiegato il direttore generale dell’ANRAC Mohammed El-Guerrouj.

La legge approvata nel 2021 in Marocco prevede anche la riconversione delle colture illegali in attività legali: una specie di sanatoria che per ora sembra funzionare. Le superfici autorizzate sono aumentate e sono distribuite soprattutto tra Al Hoceima, Chefchaouen e Taounate, tre province della regione del Rif, nel nord, dove la coltivazione della cannabis ha una storia antica di secoli. È in aumento anche il numero degli agricoltori autorizzati, che oggi si avvicina a 3.300, sette volte in più rispetto a un anno fa. L’ANRAC ha calcolato che il prezzo pagato al produttore per un chilo di cannabis prodotta illegalmente va dai 10 ai 20 dirham (da 1 a 2 euro) rispetto ai 75 dirham (circa 7,5 euro) pagati invece per la cannabis autorizzata, i cui prezzi sono regolamentati.

L’uscita totale dall’illegalità è però ancora lontana e gli agricoltori che hanno fatto questa scelta rappresentano solo una piccola parte delle circa 400mila persone che lavorano senza licenza. Secondo l’ONU nel 2021 in Marocco sono state prodotte 23mila tonnellate di cannabis e 800 tonnellate di resina, dalla cui lavorazione si ottiene l’hashish: un dato che rende il paese uno dei principali fornitori al mondo. Il primo raccolto di cannabis legale nel 2023 ha prodotto però solo 296 tonnellate. Tutti i semi – più di 2 milioni – sono stati inoltre importati dall’Europa e la semina è avvenuta tra giugno e luglio, un periodo in cui nel paese le alte temperature hanno compromesso le coltivazioni comportando, secondo l’ANRAC, perdite pari al 20 per cento del raccolto.

Uno dei potenziali ostacoli alla competitività del Marocco in questo settore sono i rischi legati al clima. Aziz Makhlouf, direttore della cooperativa Bio Cannat, ha spiegato a Le Monde che la specificità delle colture marocchine, che sono tutte all’aperto, aumenta la loro dipendenza dalle condizioni climatiche, mentre la produzione europea avviene principalmente all’interno di serre.

Uno degli obiettivi dell’ANRAC è ora quello di autorizzare l’utilizzo di semi locali, quindi non importati, e di promuovere le varietà locali di cannabis, che consumano molta meno acqua, hanno una resa migliore, un minore impatto ambientale e la cui semina può iniziare già a febbraio. L’obiettivo è rendere disponibile per gli agricoltori entro il 2025 la varietà autoctona chiamata beldiya, coltivata da secoli anche per produrre un olio che cura alcune malattie della pelle, e per produrre stoffe, corde o cesti.

L’approccio di New York alla legalizzazione della marijuana non funziona

Rassegna Stampa dal Mondo: Il Post – Mercoledì 17 luglio 2024 – fonte: https://www.ilpost.it/2024/07/17/problemi-legalizzazione-marijuana-new-york/

Oggi in città ci sono migliaia di negozi che la vendono senza licenza, e il modo in cui è stata sdoganata pone dei rischi

Negli ultimi dodici anni decine di stati americani hanno legalizzato la cannabis a uso ricreativo. I primi furono Colorado e Washington, nel 2012, e i prossimi potrebbero essere Florida, Idaho, Nebraska e South Dakota, in caso gli elettori votino a favore delle proposte legislative in materia alle elezioni di novembre. Nello stato di New York è successo gradualmente: nel 2019 il governatore Andrew Cuomo depenalizzò il possesso di piccole quantità di marijuana a scopo ricreativo, che fino a quel momento poteva portare a una pena detentiva, permettendo a circa 600mila persone precedentemente arrestate di chiedere la revisione della loro condanna e la modifica della fedina penale.

Nel 2021, poi, entrò in vigore una legge che la legalizzava del tutto, consentendo a tutti i maggiori di 21 anni di possederne fino a 3 once (circa 85 grammi) e di coltivare fino a 6 piante per uso personale. Oggi chi va a New York non può non rimanere colpito dal forte odore di marijuana che si respira praticamente a ogni incrocio, per quanto è diventato normale e accettato fumarla in pubblico.

È stato però molto più difficile decidere chi abbia il diritto di aprire un negozio autorizzato alla vendita di marijuana a scopo ricreativo. Molti altri stati americani, dopo la legalizzazione, hanno semplicemente deciso di aprire il mercato a qualsiasi azienda o individuo avesse i soldi e la volontà di investire nel settore. A New York, invece, il nuovo Office of Cannabis Management (OCM) ha organizzato il programma CAURD, che sta per “Dispensari al dettaglio per uso da parte di adulti, a certe condizioni”. Il programma aveva l’obiettivo ambizioso di concedere inizialmente gran parte delle licenze a persone svantaggiate dalla “guerra alla droga”, la dura campagna del governo federale statunitense che dagli anni Ottanta ha l’obiettivo di eliminare il commercio illegale di droga, e che però storicamente ha colpito principalmente le minoranze etniche, provocando l’incarcerazione di migliaia e migliaia di giovani afroamericani. Una parte delle tasse pagate dai negozi autorizzati, poi, doveva essere reinvestita in ulteriori programmi sociali a favore di queste comunità marginalizzate.

Negli ultimi tre anni, però, l’attuazione del programma CAURD è stata molto accidentata, al punto che a marzo la governatrice dello stato Kathy Hochul l’ha definito «un disastro» e ha licenziato il direttore del dipartimento, che se ne andrà in autunno. Le indicazioni su tempi, costi e metodi per richiedere una licenza sono cambiate spesso e le tempistiche sono state ulteriormente sballate dall’ordine di un giudice che ha temporaneamente bloccato parti del programma ritenendo che non rispettassero il testo della legge del 2021.

La conseguenza è che oggi in tutto lo stato esistono soltanto 85 negozi autorizzati alla vendita di marijuana a scopo ricreativo, ma nella sola città di New York sono più di duemila quelli che hanno aperto illegalmente, senza aspettare di richiedere e ottenere la licenza per poterlo fare.

Uno stand di prodotti commestibili a base di marijuana al Cannabis World Congress di New York, nel 2017 (Spencer Platt/Getty Images)

Per capire come mai New York abbia deciso di tentare un approccio incentrato sull’equità e il reinserimento socioeconomico delle persone più danneggiate dalla guerra alla droga bisogna prima conoscere un po’ di storia. Fino al 2019, nello stato di New York in teoria non era un problema possedere una piccola scorta di cannabis, ma era illegale fumarla o anche soltanto essere avvistati in suo possesso in pubblico in base a una legge del 1977.

Per decenni, la legge non aveva portato a grosse conseguenze: il numero di persone arrestate ogni anno per possesso in pubblico di droga raramente superavano il migliaio, e nel 1992 erano state solo 722. Le cose cambiarono però con l’amministrazione di Rudy Giuliani, che negli anni Novanta incoraggiò la cosiddetta pratica dello stop-and-frisk, che in inglese sta per “ferma e perquisisci”: sostanzialmente, la polizia poteva fermare chiunque trovasse per strada sulla base di vaghi sospetti e chiedergli di vuotare le tasche. Se qualcuno aveva in tasca della marijuana, svuotandole lo mostrava pubblicamente, ponendo gli estremi per l’arresto. Tra il 1990 e il 2018 le persone arrestate per reati minori legati alla cannabis furono più di 867mila.

A essere particolarmente colpita dalle conseguenze dello stop-and-frisk furono i giovani afroamericani, che statisticamente venivano fermati molto più spesso dei propri coetanei di altre etnie: tra il 2002 e il 2017 era 12 volte più probabile che a essere arrestato per possesso di marijuana fosse un newyorkese nero che uno bianco. Il tema fu più volte sollevato da organizzazioni e campagne contro il razzismo negli anni successivi, e molti abitanti di New York (una città che tende a essere politicamente più progressista di gran parte del resto degli Stati Uniti) cominciarono a vedere la legalizzazione della cannabis non solo come un tema di libertà personale, ma anche come un modo di porre rimedio, almeno in parte, ai danni e agli anni di carcere inflitti in precedenza alle comunità marginalizzate.

Una manifestazione contro la pratica dello stop-and-frisk a New York, nel 2012 (AP Photo/Seth Wenig, File)

La legge del 2021, oltre a legalizzare la marijuana a uso ricreativo, diceva quindi anche che il 40 per cento delle entrate fiscali legate alla vendita di cannabis doveva essere reinvestito nelle comunità dove in passato la polizia aveva effettuato un numero sproporzionato di arresti legati al possesso di sostanze stupefacenti, e poneva l’obiettivo di assegnare la metà di tutte le licenze di vendita a donne, persone non bianche, veterani disabili, agricoltori in difficoltà e residenti di quartieri sovraffollati. Il programma CAURD introdusse ulteriori limitazioni, decidendo di rilasciare le prime licenze soltanto a persone precedentemente incarcerate per possesso di cannabis o ai loro familiari.

Secondo un report pubblicato a marzo, però, gran parte dei dirigenti dell’Office of Cannabis Management non aveva mai guidato un ente di regolamentazione in precedenza e ha perseguito gli obiettivi in modo caotico. Per esempio, i dirigenti del dipartimento hanno modificato il processo necessario a presentare domanda per ottenere una licenza talmente spesso che il 90 per cento delle domande è stato rimandato indietro almeno una volta con la richiesta di correzioni formali.

Gran parte dei problemi in cui è incappata l’agenzia, però, ha a che fare con il modo in cui è strutturato il settore della marijuana legale negli Stati Uniti. Come ha spiegato Jia Tolentino sul New Yorker, «investire nella cannabis legale è tipicamente uno sport riservato alle persone che possono contare su grossi capitali». Aprire un negozio può costare milioni di dollari, e le tasse sono particolarmente alte perché la marijuana è ancora illegale a livello federale, quindi i proprietari non possono chiedere il rimborso di gran parte delle loro spese aziendali. La legge del 2021, poi, proibiva l’integrazione verticale – ovvero la possibilità che una stessa azienda possieda le coltivazioni, la distribuzione e i negozi, controllando sostanzialmente l’intera filiera – e chiedeva alle aziende già attive nel mercato della marijuana a scopo medico di aspettare tre anni dal passaggio della legge prima di poter fare richiesta per una licenza.

CAURD doveva aiutare i piccoli imprenditori a entrare nel settore offrendo spazi per i negozi a prezzi vantaggiosi e l’accesso a un fondo di 200 milioni di dollari, ma nessuna delle due cose è successa. Il costo della sola richiesta di licenza era di duemila dollari, non rimborsabili anche in caso di rifiuto. Per di più, la nuova legge non prevedeva un percorso per incentivare le persone coinvolte nel mercato nero a spostarsi in quello legale, ed escludeva quindi molti commercianti e coltivatori che non erano mai stati arrestati.

All’inizio del 2022, secondo il New Yorker, circa 900 persone presentarono una richiesta: ne vennero approvate soltanto 36. Il primo negozio di cannabis legale nello stato aprì il 29 dicembre 2022 vicino a Washington Square Park, a New York: Tolentino racconta che «la fila attraversava l’intero isolato». «Quando è cominciato il 2023», riassume, «New York aveva quindi un negozio autorizzato alla vendita di erba e circa 1400 posti che facevano illegalmente la stessa cosa».

Smacked, il primo negozio di cannabis legale aperto grazie al progetto CAURD a New York (AP/John Minchillo)

I negozi illeciti hanno molte forme diverse: certi sono ampi, illuminati e ripuliti in un modo che ricorda un po’ un punto vendita Apple, altri hanno rimpiazzato le piccole e caratteristiche bodegas di quartiere e sono quindi piccoli, caotici e all’apparenza un po’ loschi. Ne sono spuntati molti anche negli altri stati dove la cannabis è stata legalizzata: in California, per esempio, si stima che circa la metà della marijuana prodotta dai coltivatori legali venga introdotta nel mercato illegale.

«L’esplosione dei negozi di erba senza licenza a New York City, però, non ha eguali», scrive Tolentino. «Ciò è dovuto, tra le altre cose, all’enorme numero di negozi e alla cultura imprenditoriale iperattiva della città, dove i distributori automatici sono perennemente in fiore. Ma anche al fatto che la polizia della città non ha più il diritto di perquisire auto o persone sospette dicendo di sentire “odore di marijuana” e quindi sembra aver perso ogni interesse a vigilare sull’uso di cannabis». In teoria i negozi illeciti possono essere sanzionati in vari modi. Nella pratica, però, le rare volte che vengono multati o subiscono una retata della polizia i proprietari chiudono per qualche giorno e poi riaprono poco dopo.

Una parte del problema è dovuta alla grande lentezza e confusione attorno all’approvazione delle licenze. Nell’agosto del 2023, un gruppo di veterani fece causa all’OCM dicendo che il progetto CAURD discriminava varie categorie di persone considerate svantaggiate dalla legge: il giudice bloccò gran parte del programma, incluse le licenze di decine di aziende. A ottobre, l’OCM cominciò a permettere a chiunque di fare richiesta, ma a quel punto tra molte persone interessate al settore era passata l’idea che in qualsiasi momento le licenze potessero smettere di essere valide. Oggi in tutto lo stato di New York i negozi autorizzati a vendere cannabis sono ancora solo 145, a fronte di migliaia di punti vendita illeciti.

– Leggi anche: Negli Stati Uniti le persone che dicono di fare uso quotidiano di marijuana sono di più rispetto a quelle che lo dicono per l’alcol

Secondo l’esperto di politiche pubbliche Charles Fain Lehman, che ha recentemente scritto un lungo pezzo d’opinione sul New York Times, un altro problema è che una parte significativa di chi fuma marijuana (il 37 per cento) negli Stati Uniti lo fa tutti i giorni. A quel livello di consumo, la differenza di prezzo tra la cannabis venduta nei negozi autorizzati – su cui vengono applicate specifiche tasse, e che costa di più per i proprietari perché viene sottoposta a vari test prima di essere messa in vendita – e quella venduta nei negozi senza licenza incide in modo notevole.

Le persone che ne fanno un uso così frequente, scrive Lehman, «vogliono consumarne una certa quantità, indipendentemente da quanto costa acquistarla. In termini economici, la loro domanda è “anelastica”: in generale, non rispondono all’aumento dei prezzi consumando meno. Potrebbero invece provare a ridurre altri costi o cercare prodotti più economici. Quel prodotto più economico spesso va a scapito di altre qualità, come la sicurezza o l’approvvigionamento etico».

Lehman collega questa dinamica a un aspetto a suo avviso trascurato nel dibattito pubblico che ha portato alla progressiva liberalizzazione della marijuana in parte degli Stati Uniti. La cannabis infatti è una sostanza che provoca dipendenza in una parte dei suoi consumatori, anche se con effetti normalmente molto meno nocivi di una dipendenza dall’alcol o da altre droghe. «È una cosa che nessuno – né i leader di New York né i milioni di statunitensi entusiasti della legalizzazione – vuole sentirsi dire», dice Lehman.

Dopo decenni in cui la marijuana è stata descritta strumentalmente come una droga pericolosa, da qualche anno (negli Stati Uniti ma sempre di più anche in Italia) sono molto aumentate le persone che la ritengono una sostanza sostanzialmente innocua, o quanto meno molto meno pericolosa di altre che invece sono perfettamente legali, come l’alcol. Oggi la marijuana è entrata massicciamente nell’economia e nella cultura popolare statunitense, tanto che nel 2022 erano 60 milioni le persone (su 330 milioni circa) a dichiarare di consumarla.

Secondo gli studi più recenti, la marijuana non induce sintomi fisici d’astinenza comparabili a quelli che mostrano le persone dipendenti dall’alcol, ma succede che una quota significativa dei consumatori abituali di cannabis sviluppi una dipendenza, avvertendo sintomi come ansia, irritabilità, depressione, tensione fisica o mal di testa quando smettono di usarla per un po’. I Centers for Disease Control and Prevention, il principale ente di salute pubblica statunitense, stima che circa 3 consumatori di marijuana su 10, pari a circa 19 milioni di persone nel 2023, soffra di «incapacità di interromperne l’uso anche se provoca problemi di salute e sociali».

Questo fenomeno, spiega Lehman, è stato alimentato anche dal fatto che i produttori di cannabis l’hanno selezionata in modo da renderla progressivamente sempre più psicoattiva, aumentando il contenuto del principio attivo (il THC) al punto che quella disponibile oggi sul mercato statunitense non è nemmeno paragonabile per intensità a quella che si consumava fino a una decina di anni fa. Il fatto che i problemi di salute e sociali che hanno le persone dipendenti dalla marijuana non siano paragonabili per intensità e conseguenze a quelli che hanno le persone dipendenti dall’alcol, però, fa sì che non sia un fenomeno tenuto in particolare considerazione.

«Il fatto che la marijuana crei dipendenza non significa necessariamente che debba essere illegale, né dev’essere usato per condannare i consumatori», scrive Lehman. «Al contempo, però, se la marijuana crea un problema di salute per almeno il 30% dei consumatori, allora forse il governo dovrebbe preoccuparsi di come influisce sulla salute pubblica», dice Lehman, che ricorda che quando un prodotto può creare una dipendenza per il consumatore, i suoi interessi non coincidono con quelli delle aziende che lo producono, come è il caso delle sigarette e dell’alcol.

«I consumatori di marijuana – quanto i beneficiari di prestiti ad alto interesse o gli acquirenti di altre droghe legali – potrebbero aver bisogno di una qualche forma di protezione dei consumatori», suggerisce Lehman. E il mercato paralegale che si è creato a New York non ne garantisce molte, anche se è lì che si riversa la stragrande maggioranza dei consumatori abituali, attirati dai prezzi molto più bassi.

Soluzioni diverse da quella newyorkese, che hanno delineato una sorta di compromesso tra la legalizzazione e il divieto, offrono secondo Lehman delle garanzie in più da questo punto di vista. È il caso dei Paesi Bassi, dove la vendita di piccole quantità marijuana nei coffee shop è tollerata, anche se il possesso sopra una certa quantità e la produzione sono illegali. O il caso della Germania, dove da alcuni mesi è legale acquistarne pochi grammi al mese in specifici “cannabis club”, che possono accettare un numero limitato di iscritti.

«Questi modelli hanno i loro problemi, ma sono molto distanti dalla becera commercializzazione che emerge dall’approccio americano», dice Lehman. Un possibile modo per cambiarlo, suggerisce, sarebbe pensare alla marijuana come al tabacco: qualcosa il cui consumo occasionale non è pericoloso né socialmente né per la salute, ma anzi piacevole. Ma che può anche creare dipendenze che invece possono provocare problemi. Nel corso degli ultimi decenni gli Stati Uniti hanno limitato drasticamente il consumo di tabacco con molte campagne di prevenzione pubblica di successo. «La nostra esperienza con le sigarette dimostra che soltanto perché una sostanza è tecnicamente legale non significa che come società ci deve piacere. Né che il governo non possa disincentivarne il consumo senza vietarla».

BOIA CHI ROLLA – GRAMELLINI SBERTUCCIA FRANCESCO LOLLOBRIGIDA DOPO L’ULTIMA GAFFE SULLA CANNABIS LIGHT

Rassegna Stampa: 5 GIU 2024Dago Spia con Estratto dell’articolo di Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera”Fonte: https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/boia-chi-rolla-ndash-gramellini-sbertuccia-francesco-lollobrigida-dopo-397297.htm

BOIA CHI ROLLA – GRAMELLINI SBERTUCCIA FRANCESCO LOLLOBRIGIDA DOPO L’ULTIMA GAFFE SULLA CANNABIS LIGHT (“SE TE DEVI FA ’NA CANNA, FATTELA BENE!”): “OGNI GOVERNO HA AVUTO UN MINISTRO CON DELEGA AL BUONUMORE, E IL PENSIERO CORRE GRATO A TONINELLI. ANCHE SANGIULIANO ERA PARTITO FORTE, POI SI È UN PO’ PERSO IN UN OCEANO DI GRAVITAS. INVECE LOLLOBRIGIDA È SEMPRE SUL PEZZO. IL ‘LOLLO HIPPY’ MANCAVA ALLA COLLEZIONE. LO METTO ACCANTO AL LOLLO VIAGGIATORE CHE FERMA I TRENI E…”

Lollobrigida: “Cannabis light no. Se ti devi fa ‘na canna, fattela bene” — Il Grande Flagello (@grande_flagello) June 3, 2024


Estratto dell’articolo di Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera”

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA MEME SULLA CANNABIS LIGHT 8

Giuseppe Ferrante de L’aria che tira si aggira in piazza tra i fratelli d’Italia, chiedendo loro che cosa pensino della cannabis light. Quelli mangiano la foglia, è il caso di dirlo, e alla vigilia delle elezioni si rifugiano in risposte laterali, altrimenti poi chi la sente Giorgia detta Giorgia? Finché il microfono arriva a lui. Il mio idolo.

Quando mi ritrovo a corto di idee, cioè quasi sempre, digito il suo cognome su Google — «Lollobrigida» — sperando che mi illumini con qualche «lollata». E non mi delude, mai. Neanche stavolta: «Light no», afferma l’esponente del partito proibizionista. «Se te devi fa ’na canna, fattela bene!». […]

Ogni governo ne ha avuto uno con delega al buonumore, e il pensiero corre grato a Toninelli. Anche Sangiuliano era partito forte, poi si è un po’ perso in un oceano di gravitas. Invece Lollobrigida è il Sinner delle figuracce: sempre sul pezzo, le prende tutte.

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA MEME SULLA CANNABIS LIGHT

Il Lollo hippy mancava ancora alla collezione. Non vedo l’ora di metterlo accanto al Lollo bucolico che parla con le mucche, al Lollo viaggiatore che ferma i treni a comando e al Lollo pacifista che ferma addirittura le guerre, semplicemente invitandole a cena. Tutti a chiedersi perché la Meloni abbia portato suo cognato al governo, quando è così evidente: per rassicurare le cancellerie e i mercati, anche quelli rionali. […]

Cannabis, la gaffe di Lollobrigida: “Light no, se te la devi fa’ ‘na canna fattela bene!”

Rassegna Stampa: del 03/06/2024 VIDEO LA7 – L’ARIA CHE TIRA – Fonte: https://www.repubblica.it/politica/2024/06/03/video/cannabis_light_lollobrigida-423156510/?ref=RHRT-BG-P1-S1-T1

VIDEO LA7 – L’ARIA CHE TIRA

Prima la dichiarazione istituzionale, poi quella personale. “Non punto a trasformare i nostri campi di grano, le nostre coltivazioni, in campi di cannabis light, anzi. Penso che possiamo sopravvivere anche senza”, afferma Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste del governo Meloni. Ma quando il giornalista Giuseppe Ferrante de La7 gli chiede provocatoriamente: “Le è mai venuta voglia di provarla? Io ce l’ho qui”, Lollobrigida risponde in romanesco: “No, light no. Se te la devi fa’ ‘na canna, fattela bene no?”.


Ecco il Link Originale della 7

https://www.la7.it/laria-che-tira/video/fratelli-ditalia-ma-non-figli-dei-fiori-francesco-lollobrigida-light-no-se-te-la-devi-fa-na-canna-03-06-2024-545735


La domanda sorge spontanea, ma si possano rilasciare simili dichiarazioni da persone del governo, ministri e gente che decide norme per il paese? Siamo oltre la vergogna.

Si parla di tentare di chiudere 1500 aziende produttrici di Cannabis Light e l’indotto produttivo fino ai negozi di rivendita che impiegano fra le 25.000/30.000 persone, che pagano tasse al governo.

Magari prima di dire “Non punto a trasformare i nostri campi di grano, le nostre coltivazioni, in campi di cannabis light, anzi. Penso che possiamo sopravvivere anche senza”, bisognerebbe informarsi che nessun campo di grano è stato sostituito dalla Cannabis Light.

Piuttosto molti terreni lasciati incolti da nonni e padri sono stati recuperati e riutilizzati dai giovani reintroducendo una coltivazione che era diffusissima negli anni ’30 e questo non ha fatto dei nostri avi dei tossicodipendenti.

Una foglia di marijuana spunta sulla facciata di Montecitorio

Rassegna Stampa: ROMA, 24 febbraio 2024, Redazione ANSA – Fonte: https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2024/02/23/una-foglia-di-marijuana-spunta-sulla-facciata-di-montecitorio_178d60b9-e45f-4ac3-85c2-9b1873a38da3.html

Magi, la scelta per dire sì alla legalizzazione

 “Questa sera abbiamo proiettato insieme a Meglio Legale una foglia di marijuana sulla facciata di Palazzo Montecitorio: dopo che oggi la Germania ha la legalizzato la cannabis, in Italia si sceglie di favorire la mafia invece che la legalità e la sicurezza.

La Germania dimostra che legalizzare la cannabis è possibile. Facciamolo: basta votare le nostre proposte di legge già depositate che vanno proprio nella direzione indicata da Berlino, e c’è la possibilità di firmare per la proposta di legge di iniziativa popolare Io Coltivo”. Lo scrive il segretario di +Europa, Riccardo Magi, pubblicando le immagini della foglia di marijuana proiettate sulla facciata di Montecitorio.
    La presidente di Meglio Legale Antonella Soldo, insieme a Magi, al segretario di Radicali Italiani Matteo Hallissey e il tesoriere Filippo Blengino, e a Marco Perduca, sono stati fermati, scrivono in una nota i Radicali, e identificati dalla polizia mentre si trovavano davanti Montecitorio, “semplicemente per denunciare l’inattività del parlamento italiano sulla legalizzazione della cannabis con la proiezione” della foglia di marjuana. “Tempi bui – conclude la nota – per la democrazia”.

Cannabis light, il governo: “Stop al commercio, è una droga”. E la Lega vuole vietare anche il disegno della pianta

Rassegna Stampa: del 30 Maggio 2024 di Alessandra Ziniti – Fonte: https://www.repubblica.it/cronaca/2024/05/30/news/cannabis_light_vietata_governo_meloni-423129100/

Polemica sull’emendamento al ddl sicurezza. Magi porta in aula una bustina con il volto della premier. Protesta degli imprenditori della canapa: “Così distruggete 3.000 imprese e 15.000 lavoratori”

Roma — «È come pensare di fermare l’alcolismo bloccando la birra analcolica. Di questo passo vieterete anche il basilico e l’origano». Una bustina di canapa in mano con su l’effige di Giorgia Meloni e la scritta «Canapa eccellenza italiana», il deputato di +Europa Riccardo Magi nell’aula di Montecitorio prova ad avvicinarsi ai banchi del governo: «Vi fa così paura? È un’infiorescenza, non ha alcun effetto drogante».

Il governo: “Altera lo stato psicofisico”

E invece è proprio paventando «alterazioni dello stato psicofisico degli assuntori che mettano a rischio la sicurezza e l’incolumità pubblica e la sicurezza stradale», che il governo intende mettere fuori legge la cannabis light, per intenderci quella con bassissimo contenuto di Thc, equiparandola di fatto ad una droga leggera. Un presupposto senza alcun fondamento scientifico quello dell’emendamento al disegno di legge sicurezza riformulato dal governo per farlo passare al vaglio di ammissibilità della Commissione affari costituzionali di Montecitorio che invece ha definitivamente cassato buona parte degli emendamenti leghisti con i quali il partito di Salvini ha tentato l’ennesima stretta securitaria contro gli stranieri, provando a limitare persino la libertà di culto.

La Lega: “Vietare anche il disegno della pianta in pubblicità”

I leghisti non la vogliono vedere neanche disegnata la canapa tanto che ieri sera hanno depositato un subemendamento che vieta persino “l’utilizzo di immagini o disegni, anche in forma stilizzata, che riproducano l’intera pianta di canapa o sue parti su insegne, cartelli, manifesti e qualsiasi altro mezzo di pubblicità per la promozione di attività commerciali. In caso di inosservanza è prevista la pena della reclusione da sei mesi a due anni e della multa fino a 20mila euro”.

L’impatto su un mercato che impiega 15.000 lavoratori

L’emendamento sulla cannabis, invece, è ammissibile e, minacciando una stretta che rischia di impattare fortemente su una fetta di mercato che interessa 3.000 imprese con 15.000 dipendenti, verrà sottoposto al voto della commissione alla ripresa dei lavori dopo le Europee. Quello che il governo Meloni intende fare, in sostanza, è vietare la coltivazione e la vendita di infiorescenze, resine e oli, dunque l’uso dei fiori di canapa così tanto usati in erboristeria e nella cosmetica o in prodotti artigianali, non di uso industriale, prodotti che – lo dice la scienza – non hanno alcun effetto drogante. E dunque non si capisce come il loro consumo possa portare ad alterazioni dello stato psicofisico tali da provocare rischi per la sicurezza pubblico. Ma il ministro Adolfo Urso, rispondendo al question time, insiste: « La legge del 2016 a causa della non perfetta formulazione ha consentito lo sviluppo di un mercato secondario di prodotti derivanti dalla canapa, nonché di infiorescenze e altri prodotti contenenti un tenore di Thc sino allo 0,6%, potenzialmente idoneo a determinare l’effetto psicoattivo, anche se blando, come evidenziato da consolidata giurisprudenza in tossocologia forense. È su questo tema che l’emendamento governativo è intervenuto».

La protesta degli imprenditori della canapa

Con buona pace delle proteste degli imprenditori canapa Italia che hanno chiesto l’apertura urgente di un tavolo di concertazione con il governo. «Le infiorescenze di canapa industriale non costituiscono droga né sostanza stupefacente, ma rappresentano un prodotto agricolo sicuro, che non mette a rischio la sicurezza pubblica – spiegano -. L’approvazione di questo emendamento penalizzerebbe ingiustamente un settore produttivo che genera un volume d’affari superiore ai 500 milioni di euro».

Gli altri emendamenti della destra

Se ne riparlerà dopo le Europee quando al voto della commissione approderanno molti altri emendamenti del migliore repertorio della destra, dall’istituzione del reato di integralismo islamico alla predicazione in italiano nelle moschee, all’aumento delle pene per le proteste per le esecuzioni di opere pubbliche, il cosiddetto emendamento “anti Ponte” fino alla castrazione

Schlein rilancia sulla cannabis: “Legalizziamola”

Rassegna Stampa: ROMA, 24 febbraio 2024, Redazione ANSA – Fonte: https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2024/02/24/schlein-battiamoci-per-la-legalizzazione-della-cannabis_b69421ea-9e29-4c35-8788-c9ff7e93861e.html

+E, facciamo battaglia comune. La maggioranza fa muro

 “Battiamoci insieme per il matrimonio egualitario e per la legalizzazione della cannabis”.

All’indomani del via libera della Germania alla cannabis legale, la segretaria del Pd Elly Schlein decide di lanciare la sfida anche in Italia.

Lo fa davanti a una platea molto sensibile al tema, gli invitati all’appuntamento organizzato da Più Europa in vista delle prossime europee. Ma i suoi interlocutori sono tutte le forze di opposizione, chiamate a convergere su una battaglia, che fino ad ora è stata spesso ingaggiata ma mai vinta. Anche a causa delle resistenze in seno allo stesso Partito Democratico.


La nuova legge tedesca è stata voluta dalla coalizione di sinistra-centro del cancelliere Olaf Scholz per togliere il mercato allo spaccio. E il medesimo obiettivo orienta anche il Nazareno che starebbe guardando con attenzione alla raccolta firme per una legge di iniziativa popolare lanciata dall’associazione “Meglio Legale”. Ma non è escluso che tra non molto i dem si facciano promotori anche di una proposta articolata da portare in Parlamento. Il segretario di Più Europa, Riccardo Magi, ricorda: “C’è la nostra proposta di legge già depositata e c’è la proposta di legge di iniziativa popolare IoColtivo che ricalca proprio il modello tedesco. Portiamo insieme la battaglia in Parlamento”.


In casa Pd, dopo le forti tensioni registrate sul terzo mandato, l’uscita di Schlein su legalizzazione e matrimonio egualitario non è passata inosservata e ha generato qualche mugugno soffocato nell’area più moderata. Ma, alla vigilia del voto in Sardegna, l’orientamento dei più è non rinfocolare altre polemiche: “Abbiamo fatto il fioretto del silenzio fino a lunedì”, ironizza un rappresentante dei riformisti. Dopo le urne, eventualmente, se ne parlerà.
Nel M5s la scelta del Bundestag viene rilanciata in solitaria dal fondatore e garante, Beppe Grillo, che dai suoi social esorta: “Il parlamento tedesco ha approvato la legalizzazione della cannabis e la sua coltivazione ad uso ricreativo. E noi stiamo a guardare”.


La maggioranza fa muro. “Grillo, la Schlein e tutti i loro sodali si dovrebbero vergognare per le loro affermazioni – dice il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri – Evidentemente le opposizioni preferiscono dare le droghe ai ragazzi piuttosto che favorire la vita, la prevenzione ed il recupero”. Più soft ma non meno incisivo il vicepremier Antonio Tajani: “Ho qualche dubbio sull’idea che si debba legalizzare la cannabis”, “io non mi sono mai fatto una canna in vita mia”.

La crociata di Salvini contro l’icona di “marija”

Rassegna Stampa: del 31 Maggio 2024 di FRANCESCA PACI – Fonte: https://www.lastampa.it/editoriali/lettere-e-idee/2024/05/31/news/cannabis_light_salvini_canapa_governo_meloni-14349493/

Prima, novembre 2022, è venuto il decreto contro i rave party, pene detentive da 3 a 6 anni di reclusione per chi organizza o promuove “l’invasione di terreni o edifici”. A seguire, settembre 2023, quello denominato “Caivano”, fino a 2 anni per i genitori che non mandano a scuola i figli. Poi, gennaio 2024, la mannaia del governo Meloni si è abbattuta sui ragazzi di Ultima generazione, i cosiddetti “ecovandali”, un massimo di 60 mila euro e 6 anni di carcere per una secchiata di vernice sui monumenti nazionali. Nel frattempo abbiamo assistito ai liceali romani schedati per l’occupazione della scuola, alle cariche della polizia contro gli studenti di Pisa così violente da agitare il presidente Mattarella, alla pressione sui diritti consolidati come l’aborto e sui mezzi d’informazione, a partire dall’affaire Agi. Adesso l’occhiuta maggioranza di destra-centro scatena l’artiglieria pesante contro la pericolosissima icona della cannabis light: un subemendamento della Lega al ddl sicurezza vagheggia addirittura una pena da 6 mesi a 2 anni e una multa fino a 20 mila euro non solo per chi commerci la pianta di canapa ma per chiunque diffonda immagini che la riproducono, anche solo in forma stilizzata. Manco a dire il temibile spinello, no: la pianta. Anzi, il disegno della pianta.

Sembrerebbe una boutade, ma è tutto vero. Come per le tante altre norme propaganda varate dal governo Meloni, quella contro la canapa è verosimilmente destinata a essere smontata se impugnata avanti al Tar, al Consiglio di Stato, alla Corte costituzionale. Nel frattempo però può travolgere – e travolgerà – un settore che ha creato in Italia 1500 aziende, 13 mila posti di lavoro e un fatturato da 150 milioni di euro. Parliamo dei grow-shop, i negozi che, in base alla legge del 2016, producono, trasformano e vendono canapa, il cui contenuto di principio attivo è meno dello 0. 6%: ossia, scientificamente privo di qualsiasi effetto psicotropo.

Dati alla mano, la crociata contro la cannabis non mostra altra motivazione se non quella ideologica, come denuncia, a ragione, il segretario di Più Europa Riccardo Magi che ieri, dopo il flash mob a Montecitorio contro «una legge da ayatollah», ha presentato un’interrogazione al ministro Urso e una serie di subemendamenti contrapposti. Eroico.

Il governo, a quel che capiamo, fa spallucce: chissene importa di una filiera agricola «secondaria» che non è neppure un bacino elettorale della destra. All’indomani del voto europeo discuterà il ddl sicurezza e tirerà dritto, con l’iniziativa leghista candidata a diventare legge e tanti saluti ai negozianti di cannabis light equiparati a quel punto a spacciatori, punibili, secondo il testo unico sugli stupefacenti, da 2 a 6 anni di detenzione per la vendita della pianta. Come se per combattere l’alcolismo si mettessero al bando i filari di viti.

E pensare che in questi mesi il mondo occidentale si muove in direzione ostinata e contraria, con molti stati americani che hanno tolto dalla lista delle sostanze pericolose la cannabis forte e la Germania che ha legalizzato l’uso domestico di quella con un alto tasso di thc. L’Italia no. L’ordine pubblico prima di tutto.

Il Cannabis act

Rassegna Stampa del 06 MARZO 2024 di Luigi Manconi – Fonte: https://www.repubblica.it/rubriche/liberta-illiberta/2024/03/06/news/libertailliberta_del_6_marzo_2024-422265525/

Non è un Aprilscherz (pesce d’aprile in tedesco) il Cannabis act approvato dal Bundestag, il Parlamento, – 407 voti a favore e 226 contrari – che dal 1° aprile autorizza tutte le persone maggiorenni a detenere in pubblico fino a 25 grammi di cannabis, la coltivazione domestica di massimo tre piante e la sua custodia entro il limite di 50 grammi. All’interno di questi parametri vengono depenalizzati, così, i comportamenti di quei consumatori che si procacciano il prodotto per benessere personale e divertimento. Il 22 marzo il provvedimento dovrà ricevere la ratifica da parte del Bundesrat (il Parlamento delle regioni), le resistenze in questa sede sono ancora molte, ma pare che il lavoro di mediazione fatto dal governo Scholz in questi mesi, sarà in grado di superare le diffidenze anche in tale sede. Lo stesso non si può dire per l’Italia, dove l’uso ricreativo della cannabis è criminalizzato, quindi punito con sanzioni che vanno dall’arresto alla multa e, in alcuni casi, alla riduzione della libertà di movimento attraverso il ritiro della patente.

Antonella Soldo, dell’associazione Meglio Legale, segnala la storia di Filippo come un esempio di ordinario proibizionismo italiano. Sono le due di notte e Filippo, trentuno anni, ha appena finito il turno in una pizzeria di Roma dove lavora come cameriere. Mentre è alla guida della sua macchina viene affiancato da un’auto dei carabinieri. Inizia così la routine di controllo: il giovane fornisce patente e assicurazione e conferma di avere con sé un po’ di cbd (la cosiddetta canapa light ammessa alla vendita legale), esibendo la bustina di plastica gialla con il bigliettino del negozio dove l’ha acquistata.I carabinieri: «Se hai qualcosa addosso è meglio se ce la dai tu piuttosto che se la troviamo noi». Un classico. Il giovane nega, ma i militari trovano nell’auto 0,82 grammi di sostanza tipo hashish.In seguito gli viene chiesto di spogliarsi, ma Filippo si rifiuta di eseguire l’ordine in mezzo alla strada. Così lo portano in caserma, dove il giovane tira fuori una sigaretta con un po’ di cbd e un po’ di fumo che aveva nascosto negli slip. A quel punto i carabinieri si adoperano per effettuare le analisi delle sostanze sequestrate e il test risulta positivo all’hashish: 0,82 grammi. Una “caccola”, in gergo. Nella compilazione del verbale a Filippo viene contestato l’art. 75 del Testo unico sugli stupefacenti (DPR 309/90): detenzione per uso personale. E viene disposta una sanzione accessoria, ovvero il ritiro immediato della patente.

La storia di Filippo è un esempio dell’ordinaria persecuzione di chi fa uso di neanche un’oncia di cannabis e dei suoi derivati, perché la penalizzazione della sua coltivazione, del consumo e del possesso produce punizioni e limitazioni: se il prefetto confermerà la sospensione temporanea della patente per Filippo saranno ancora più estenuanti i turni di lavoro da sostenere, dal momento che abita fuori Roma; e l’attribuzione di uno stigma sociale, a partire dal possibile obbligo di frequentare i Servizi per le dipendenze (SerD). L’episodio riportato non è certo isolato. Sono infatti circa 45.000 le persone che ogni anno vengono segnalate all’autorità per consumo personale e, tra esse, l’80 per cento dei casi riguarda il consumo di cannabis (si stimano 6 milioni in Italia).

Questi ultimi sono costretti a rivolgersi al mercato illegale, dove la sostanza viene spesso tagliata con elementi tossici: lacca, piombo, lana di vetro; ma anche l’eroina, in grado di provocare rapidamente una dipendenza che con i soli cannabinoidi è assai difficile sviluppare. Ciò significa maggiore guadagno per il narcotraffico (la sola cannabis vale il 42 per cento dei profitti) e più elevata possibilità di accesso, per giovani e giovanissimi, alla tossicodipendenza e al sistema delle pene, comprese quelle detentive. In Italia è in corso una raccolta di firme su una legge di iniziativa popolare sul modello tedesco: 4 piante da coltivare nella propria abitazione o presso un’associazione di consumatori e la decriminalizzazione della detenzione e dell’uso personale. Si firma gratis con spid sul sito iocoltivo.org. Pensate e firmate.

Marijuna libera negli Usa, dove è legale il consumo cresce del 269%

Rassegna Stampa del 25 MAGGIO 2024 di Massimo Basile – Fonte: https://www.repubblica.it/esteri/2024/05/25/news/marijuana_usa_consumo_aumento_del_269_per_cento-423108503/

La ricerca della Carnegie Mellon University di Pittsburgh mostra l’innalzamento del livello di consmo di cannabis dal 2008, mentre quello di alcol negli stessi anni è diminuito del 7 per cento

NEW YORK – L’America va sempre più in fumo, e si perde meno nell’alcol. Per la prima volta dagli anni ’70 il consumo di marijuana tra gli americani ha superato quello dell’alcol. Il primo è cresciuto dal 2008 del 269 per cento, mentre il secondo ha registrato un calo del 7 per cento. Sono quasi 18 milioni gli americani che consumano regolarmente cannabis, contro meno di 15 milioni di consumatori di vino e altri alcolici.

È quanto emerge da una ricerca condotta dal professor Jonathan Caulkins, docente della Carnegie Mellon University, di Pittsburgh, Pennsylvania, che ha analizzato una serie di statistiche vanno dal 1979 al 2022. Due anni fa il consumatore medio di bevande alcoliche beveva quattro-cinque giorni al mese, mentre il consumatore di erba ha fumato la marijuana tra i quindici e sedici giorni al mese. Però è più facile avere forti bevitori che forti fumatori di erba. Ma i dati generali indicano un cambiamento nelle abitudini delle persone, soprattutto tra i giovani, che vedono l’alcol come un pericolo per la salute.

Diverso l’approccio verso l’erba. Il 74 per cento degli americani che dichiara di consumare regolarmente la marijuana vive in Stati dove la vendita è diventata legale sia per scopi medici sia per quelli ricreativi. L’amministrazione Biden ha riclassificato la cannabis, scalandola dalla prima alla terza categoria degli stupefacenti, cioè meno pericolosa. Nella prima figurano droghe come eroina, Lsd e ecstasy, considerate non avere i requisiti per essere utilizzati per scopi terapeutici o medici come invece per l’erba. Nella terza categoria sono inseriti farmaci che creano una “bassa o media dipendenza” come il tyleol, la chetamina, il farmaco alla base dell’overdose dell’attore di Friends Matthew Perry, gli steroidi anabolizzanti e il testosterone.

Il trend sul consumo appare un riflesso delle politiche restrittive o permissive dei vari Stati. Tra il 1980 e il 1992, quando l’America aveva vissuto le amministrazioni conservatrici di Ronald Reagan e George H. W. Bush, l’uso della marijuana era andato in calo. Sotto Barack Obama e poi Joe Biden è aumentato. “I dati recenti – ha scritto nella sua relazione il professor Caulkins – confermano un cambiamento considerevole sia nel consumo giornaliero o quasi giornaliero”.

Sono diciotto gli Stati, più Washington Dc, che hanno legalizzato l’uso della cannabis per scopi ricreativi. Il mercato è cresciuto in modo verticale negli ultimi quattro anni, con un fatturato che ha raggiunto gli 11,6 miliardi di dollari. Nel 2020 la California è risultata lo Stato con il mercato più florido e vendite di cannabis per oltre quattro miliardi di dollari. I dati, secondo gli analisti, sono destinati a triplicarsi entro il 2025. A quel punto servirà che il professor Caulkins aggiorni le sue statistiche.