Funghi allucinogeni contro la depressione, via alla prima sperimentazione italiana

Rassegna Stampa: di Michele Bocci del 09 Luglio 2025 – La Repubblica – fonte: https://www.repubblica.it/cronaca/2025/07/09/news/funghi_allucinogeni_depressione_sperimentazione_italiana-424720554/

L’Istituto superiore di sanità, con l’Università di Chieti, inizia lo studio sulla sostanza psichedelica psilocibina. “Grandi potenzialità, possiamo migliorare le cure dei problemi di salute mentale”

Parte la prima sperimentazione italiana sugli effetti delle sostanze allucinogene sulla depressione resistente ai farmaci. A guidarla è l’Istituto superiore di sanità, che ha avuto il via libera dall’Aifa, l’agenzia del farmaco e coinvolto un centro universitario. Si cerca di capire, come sta già avvenendo in molti altri paesi, dove sono stati avviati studi che in certi casi (Australia) hanno portato già all’utilizzo di medicinali a base di sostanze psichedeliche, quali sono gli effetti della psilocibina, la sostanza contenuta nei funghi allucinogeni. I soldi per lo studio (intorno ai 700mila euro) arrivano dal Pnrr, l’Istituto superiore di sanità ha già eseguito test preclinici e coinvolto la clinica psichiatrica di Chieti, diretta da Giovanni Martinotti, la Asl Roma 5 e gli Ospedali Riuniti di Foggia.

Lo studio italiano e i precedenti

La sperimentazione durerà 24 mesi e prevede l’arruolamento di 68 pazienti con depressione resistente. Saranno trattati con psilocibina e controllati, per valutare gli effetti. Lo studio è a doppio cieco (in cui cioè né i pazienti né gli sperimentatori sanno quale trattamento sarà somministrato al paziente), e metterà a confronto gli effetti della psilocibina con la neuromodulazione, una tecnica comunque innovativa già valutata come efficace. Nello studio italiano si utilizzeranno tecniche avanzate di neuroimaging neurofisiologia per avere immagini dettagliate del cervello per valutare gli effetti. Giovanni Martinotti spiega che il lavoro italiano è innovativo: “Siamo i primi a somministrare insieme alla psilocibina un farmaco che annulla gli effetti psichedelici, che di solito il paziente sperimenta nelle prime ore dopo l’assunzione. Gli altri lavori dicono che con una somministrazione si hanno effetti per sei mesi”. Il medicinale è messo a disposizione da un produttore canadese, attraverso un distributore polacco.

Come agisce

Dall’Istituto spiegano che la psilocibina “una volta assunta viene trasformata nell’organismo in psilocina, che agisce su recettori della serotonina, modulando l’attività delle reti cerebrali coinvolte nell’umore, nella percezione e nel pensiero”. Negli anni scorsi sono stati fatti studi clinici negli Usa, nel Regno Unito, in Svizzera e in Australia e “hanno evidenziato che una o due somministrazioni di psilocibina possono produrre effetti antidepressivi rapidi e duraturi, con miglioramenti clinici significativi persistenti fino a sei mesi in pazienti con depressione resistente ai trattamenti tradizionali”.

Le potenzialità

Il dibattito sulle potenzialità curative delle sostanze psichedeliche è ormai diffuso anche in Italia, come rivela il libro “Il bosco fiorito-Psichedelia: orizzonti di cura” (AnimaMundi edizioni) curato da Letizia Renzini, dove vari esperti analizzano diversi aspetti, tra testimonianze, situazione normativa, casistiche internazionali, esperienze di medici, per illustrare le potenzialità delle cure con sostanze allucinogene. “Siamo di fronte a un cambio di paradigma sia scientifico che culturale – dice ancora Martinotti – che ci permette di saperne di più sul potenziale antidepressivo della psilocibina e sulle sue modalità di azione. È una grande occasione per la ricerca italiana e per migliorare le cure per la salute mentale. Queste conoscenze potranno rendere l’impiego delle nuove molecole ancora più sicuro, accettabile e accessibile per l’applicazione in ambito clinico”. Francesca Zoratto, ricercatrice dell’Istituto e “principal investigator” del progetto, aggiunge che “per la prima volta potremo valutare l’efficacia della psilocibina in un contesto rigorosamente controllato e clinicamente supervisionato, ma anche esplorarne forme innovative come quella non psichedelica, che possa eliminare gli effetti allucinogeni mantenendo il potenziale terapeutico”.

Canapa italiana: condannati dalla politica, ma assolti dai tribunali

Rassegna Stampa: Mario Catania del 02/07/2025 – Dolce Vita Fonte: https://www.dolcevitaonline.it/canapa-condanna-politica-assolti-tribunali/?fbclid=IwY2xjawLSNN1leHRuA2FlbQIxMQBicmlkETA5QVZ6SjhCMmZKSXVRdElkAR4Vu-70sCZXj02gnHVBqoaEZF5eTRjJVPdlVvTfnOOXqKQ1PLQ-Ud4tEJ-Sww_aem_ylVvbn_L0GFzqmN6YJw5gA

Il governo si ostina a considerare come droga quello che resta un prodotto agricolo, ma le sentenze e la Corte di Cassazione danno ragioni ad agricoltori e commercianti, mentre un intero settore agro-industriale viene abbandonato a se stesso per una guerra ideologica

Nel Paese in cui ogni giorno si predica la legalità, lo Stato sceglie scientemente di ignorare la realtà.
Con l’ultimo decreto sicurezza, il governo ha deciso che i fiori di canapa industriale, coltivati secondo regolamenti europei e con THC sotto le norme di legge, sono da trattare come sostanze stupefacenti. Poco importa che non abbiano effetto drogante. Poco importa che la legge 242/2016 ne consenta la coltivazione e che negli anni si sia creato un settore che dà lavoro a 22mila persone e paga tasse per 500 milioni di euro l’anno. E soprattutto, poco importa che i tribunali continuino ad assolvere chi li vende, perché “il fatto non sussiste”.

Succede così che mentre la politica lancia crociate ideologiche sulla pelle di un intero comparto agricolo e commerciale, la giurisprudenza continua a dire l’opposto: la canapa sotto lo 0,5% di THC non è una droga, punto.

CANAPA: DAL PARERE DELLA CASSAZIONE ALLE SENTENZE DEI TRIBUNALI

L’ultimo esempio – lampante per la lucidità e schiacciante per la fonte da cui proviene – sono i rilievi della Corte di Cassazione nella relazione pubblicata pochi giorni fa: non solo il decreto sicurezza viene smontato punto per punto segnalando le forzature giuridiche e i possibili rilievi di incostituzionalità, ma l’emendamento canapa viene sbugiardato con i magistrati della più alta Corte italiana che mettono nero su bianco che il fiore di canapa industriale sotto lo 0,6%, come previsto dalla legge 242 del 2016, non ha efficacia drogante, che il governo ha tradito la fiducia e il patto con cittadini e commercianti, e che è una legge in contrasto con il diritto europeo. Più in là, non ci si poteva spingere.

E anche le sentenze dei tribunali, nella stragrande maggioranza dei casi, assolvono gli imprenditori e gli agricoltori. L’ultimo a uscirne pulito è stato Luca Marola, fondatore di Easyjoint e bersaglio storico della procura di Parma che gli aveva sequestrato 650 kg di infiorescenze e 20 litri di olio al CBD: assoluzione piena, il fatto non sussiste. Ancora una volta, nessun reato. Solo tempo, denaro e risorse pubbliche buttate in processi inutili.

Altro esempio? Poco dopo, ai primi di giugno, con il decreto sicurezza già in vigore, un imprenditore di settore è stato assolto dall’accusa di detenzione a fini di spaccio di 700 kg di infiorescenze di canapa industriale con THC tra lo 0,3% e lo 0,6%. È successo a Cagliari: dopo la condanna in primo grado dell’anni scorso, è arrivata l’assoluzione della Corte d’appello, come spiegato dall’avvocato Lorenzo Simonetti, che ha difeso l’imprenditore insieme al collega Claudio Miglio. Non solo, perché è stata disposta anche la restituzione della merce.

Il risultato? Un clima di intimidazione e, nel mezzo, migliaia di operatori del settore che rischiano denunce, sequestri e incertezze continue. Per capire intanto come si stanno organizzando produttori e negozianti, ne abbiamo sentiti alcuni, ecco le nostre chiacchierate.

* – * – *

Tommaso, Antichi Grani e Narnia cannabis
«Non ci facciamo spaventare, restiamo aperti e continuiamo con il commercio, anche perché abbiamo dei contratti d’ingrosso all’estero, oltre a 8 dipendenti che non voglio lasciare a casa. Stiamo coltivando, più dell’anno scorso e più degli altri anni. Dall’altro lato stiamo cercando di portare la cosa sotto la lente delle istituzioni umbre, abbiamo già fatto un incontro a maggio e a breve incontreremo l’assessore all’ambiente per perorare la nostra causa. Qui in Umbria siamo compatti, ci conosciamo un po’ tutti e stiamo mantenendo questa linea. Secondo me, più che parlare di disobbedienza civile, dobbiamo ribadire il nostro diritto alla libera impresa dato che non ci è stato nessun chiarimento, nemmeno come smaltire eventuali rimanenze, quindi portiamo avanti il nostro lavoro».

Marco, Sir Canapa
«La situazione, con il decreto sicurezza, è surreale. Stanno provando a mettere in ginocchio il settore e mentre molte attività chiudere e le tabaccherie non vendono più le infiorescenze, il risultato è che molte persone tornano in strada a cercare cannabis illegale, alimentando mercato nero e mafie. Noi di Sir Canapa siamo a Milano e rimaniamo aperti, nonostante tutto. Il punto, secondo me, è che questo decreto non è pericoloso solo per le attività di settore, ma è pericoloso dal punto di vista sociale».

 Riccardo, CBWeed
«Noi andiamo avanti, anche se il momento è complicato. A metà giugno, per scelta dei titolari, 3 negozi CBWeed hanno chiuso. Tre negozi sani che stavano bene, che guadagnavano ed erano aperti da 5 anni. Tre famiglie, con le quali, nel tempo, eravamo diventati amici. Un negozio al sud, uno al centro e uno al nord, persone diverse, accomunata solamente dal fatto che lavoravano nel settore. Grazie al parere espresso successivamente dalla Cassazione, che conferma esattamente la nostra visione e ciò che sosteniamo da tempo, ci aspettiamo che i negozi possano lavorare tranquillamente».

Andrea, Bongae
«Noi stiamo continuando a operare qui in Sicilia, in modo molto trasparente, con tutte le cautele del caso e supportati dal nostro avvocato. Io mi sento nella legalità è lo Stato che ha scelto di essere illegale, e ora ne pagherà le conseguenze, anche se dovessi andare davanti a un giudice a raccontare la mia storia. Sono sereno e felice perché ho tanta speranza che mi stanno le persone comuni, i ragazzi con cui lavoro sono più determinati di me. La pianta va difesa e soprattutto cerchiamo di essere d’esempio. Ci stiamo impegnando anche su una causa ambientale, perché crediamo che la canapa sia in gran parte sostenibilità. Per comunicarlo organizziamo dei clean-up in zona Catania, dove puliamo spiagge, giardini pubblici, e parliamo di canapa. Stiamo poi portando avanti le nostre coltivazioni sperimentali, dando possibilità a chi lo voglia di adottarne una».

Marco, Canapalpino
«Colgo l’occasione per specificare una cosa: non abbiano chiuso il negozio di Longarone, come scritto in un’intervista recente de L’Internazionale in cui le mie parole sono state travisate: semplicemente l’attività è stata ceduta al ragazzo che ci lavorava. Noi andiamo avanti con i nostri due punti vendita, proponendo l’olio di CBD a uso cosmetico, ma non le infiorescenze. Avendo da tempo un buon assortimento di prodotti cosmetici, alimentari e di abbigliamento, e una clientela variegata, per il momento non ci possiamo lamentare. Certo, l’assurdità della legge resta, ma la ragione è dalla nostra parte».

Giovanni, Legal Weed e Birba Shop
«Noi stiamo andando avanti con una capacità molto ridotta, ma non ci arrendiamo. Nonostante il diritto europeo e la magistratura siano dalla nostra parte, la situazione resta difficile, visto che ad oggi il testo in Gazzetta ufficiale resta quello del decreto sicurezza. C’è comunque un grande rammarico nel vedere un mercato che, in quasi dieci anni, non è riuscito a far valere le proprie ragioni e avere delle norme valide e certe».

Il comunicato del NIC
«La cosa principale da chiarire è che il nostro, non è un atto di disobbedienza, ma è una scelta che ci vede solo ed esclusivamente aderire ai nostri diritti: come il diritto costituzionale del “legittimo affidamento”, all’interpretazione del diritto penale alla luce del principio di offensività e dell’applicazione e all’interpretazione corretta della normativa europea sulla canapa. Con la consapevolezza di possibili controlli, sequestri e denunce, siamo decisi mai come prima a non arretrare di un centimetro. Se lo Stato vorrà compiere l’ennesimo abuso di potere nei confronti di onesti imprenditori, li attenderemo sulla porta dei nostri negozi, vincendo l’ennesimo processo, accompagnati da avvocati specializzati, associazioni di settore e coperture assicurative, continuando a lavorare come abbiamo sempre fatto».

Canapa, la Cassazione boccia il divieto: rischi di incostituzionalità e procedura d’infrazione Ue

Raccolta Stampa: 28 Giugno 2025 di Paolo Dimalio – Il Fatto Quotidiano – Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/06/28/cannabis-light-cassazione-divieto-incostituzionalita-news/8041997/

La relazione degli Ermellini: nessuna evidenza scientifica sull’effetto drogante e incompatibilità con le regole Ue. Leso il diritto degli imprenditori a pianificare investimenti: in pericolo 30 mila posti di lavoro

La relazione del massimario della Cassazione – pubblicata il 23 giugno – fa a pezzi il divieto per la cannabis light: ovvero il “famigerato” (per gli imprenditori della canapa) articolo 18 del decreto sicurezza. Approvato l’11 aprile, da quel giorno i negozi che vendono le infiorescenze della canapa a basso contenuto di thc rischiano l’incriminazione per droga. Identica minaccia incombe sui coltivatori della canapa. Ora gli ermellini elencano punto per punto tutte le criticità del provvedimento, esprimendo forti dubbi sul rispetto della Carta costituzionale e del diritto europeo. I giudici chiariscono anche l’impatto sociale di una norma che può azzerare l’intero comparto industriale della canapa: in gioco ci sono 30mila lavoratori, 150 milioni di gettito fiscale per un fatturato di 500 milioni l’anno. Di colpo, grazie al governo, le imprese hanno dovuto annullare ordini di esportazione che coprono il 90% del mercato delle infiorescenze. Anche per questo i dubbi di legittimità costituzionale appaiono fondati, secondo i giudici di Cassazione.

Ad essere violato è il “principio di affidamento del privato”: ovvero la possibilità, da parte di un’azienda, di fare affidamento sulle norme vigenti per avviare investimenti e pianificare il futuro, senza il rischio che il legislatore cambi, “se non in maniera ragionevole”. E gli ermellini non sono affatto sicuri che la sterzata di Meloni sulla canapa, con il bando totale delle infiorescenze, sia “ragionevole”. In primis perché mancano dati certi. Anzi, scrive la Cassazione, “le evidenze scientifiche dimostrano l’assenza di effetti droganti quando il principio attivo della cannabis si collochi al di sotto delle percentuali di Thc” indicate dalla legge: 0,2%, con soglia di tollerabilità fino allo 0,6%. Dunque cade la ratio stessa dell’articolo 18: evitare che il fiore della canapa “possa favorire, attraverso alterazioni dello stato psicofisico, comportamenti che espongano a rischio la sicurezza, l’incolumità pubblica ovvero la sicurezza stradale”.

⁠  ⁠Senza dati scientifici, verrebbe violato un altro obbligo costituzionale: la “determinatezza della legge penale”, cioè il divieto di incriminazioni “che non siano suscettibili di essere accertati e provati nel processo”. Senza la prova scientifica che la cannabis light abbia effetto stupefacente – suggeriscono i giudici – come si giustifica un processo per droga? Invero, la ricerca scientifica sostiene l’esatto contrario: il carattere innocuo della canapa a basso tenore di Thc. Anche per questo il fiore della canapa è legale in tutta Europa. Non solo, la Politica agricola comune (Pac) incentiva i coltivatori della canapa con bandi e finanziamenti pubblici. Dunque i giudici sottolineano “l’esposizione del nostro Paese alla procedura di infrazione” da parte dell’Ue.

La relazione della Cassazione espone un altro paradosso del bando al fiore. Ovvero l’eccezione prevista per la produzione dei semi: questi ultimi (legali) si trovano dentro le infiorescenze (illegali). Da qui il rebus per gli imprenditori minacciati da un’accusa per droga: come potranno provare, in un eventuale processo, che il fiore serviva solo per i semi? Per i giudici occorrerà munirsi di “contratti di conferimento a imprese individuate o autorizzate”.

Di fatto, molti imprenditori preferiscono chiudere bottega e volare all’estero. Anche Coldiretti, di solito vicina a palazzo Chigi, ha criticato il provvedimento. Forza Italia ha protestato in Europa e la Lega in Veneto, nella Conferenza delle Regioni e province autonome. Ma Giorgia Meloni e Alfredo Mantovano hanno tirato dritto. Tecnicamente, poiché la norma incide sul mercato europeo, il governo aveva l’obbligo di comunicarne il contenuto alla Commissione Ue, attraverso la cosiddetta procedura Tris. Invece non lo ha fatto, come per la carne coltivata. Risultato: per i giudici nazionali dovrebbe essere inapplicabile, perché il diritto comunitario viene prima. Non è detto che Meloni sia d’accordo. Al tribunale di Firenze pende il primo ricorso contro l’articolo 18 del decreto sicurezza: in attesa che il giudice fissi l’udienza.

Cannabis, primi sequestri e contestazioni di spaccio agli imprenditori del settore

Rassegna Stampa: 18 Giugno 2025 di Alessandra Ziniti – La Repubblica – Fonte: https://www.repubblica.it/cronaca/2025/06/18/news/cannabis_primi_sequestri_accusa_spaccio_imprenditori-424676394/?ref=RHLM-BG-P3-S1-T1-fattidelgiorno22

Simona Giorgi ed Emiliano Del Ferraro gli imprenditori colpiti dal provvedimento dell’autorità giudiziaria dopo l’approvazione del decreto sicurezza. Magi ( + Europa) annuncia ricorso alla Corte Costituzionale

Simona Giorgi ed Emiliano Del Ferraro sono i primi due imprenditori della cannabis colpiti dai provvedimenti dell’autorità giudiziaria dopo l’approvazione del decreto sicurezza che ha dichiarato fuorilegge tutti i prodotti da infiorescenze equiparandoli alle droghe leggere.

Giorgi e Del Ferraro nei giorni scorsi si sono visti sequestrare la loro produzione, un provvedimento motivato nel decreto proprio con la presenza del principio attivo proibito nella merce in loro possesso.

E’ il caso pilota di quello che toccherà un comparto che dà lavoro in Italia a 10.000 persone e che il decreto sicurezza ha di fatto reso illegale.

L’avvocata Paola Bevere, che rappresenta i due produttori con un’azienda tra Roma e Latina, ritiene che il decreto dovrebbe essere immediato disapplicato in quanto in contrasto con la normativa europea e con diverse sentenze della Corte di giustizia europea che ritiene non punibile l’uso di prodotti da infiorescenza.

Giorgi e Del Ferraro saranno presenti oggi davanti a Montecitorio insieme al segretario di + Europa Riccardo Magi e alla presidente di Meglio Legale Antonella Soldo per annunciare nuove iniziative contro il decreto sicurezza a cominciare dalla presentazione di un ricorso alla corte costituzionale contro il decreto sicurezza.

Motociclista positivo alla cannabis, il giudice smentisce Salvini e gli restituisce la patente

Rassegna Stampa: 17 Giugno 2025 By Thomas Usan – La Stampa – Fonte: https://www.lastampa.it/asti/2025/06/17/news/cannabis_restituita_patente-15195291/?ref=LSHA-BH-P2-S2-T1

È primo caso in Piemonte, il secondo in Italia, da quando è in vigore il nuovo decreto. A marzo l’udienza

Motociclista positivo alla cannabis, il giudice smentisce Salvini e gli restituisce la patente

Viene trovato positivo alla cannabis dopo un incidente e gli sospendono la patente: fa ricorso e il tribunale gliela restituisce perché «è lucido». L’episodio è avvenuto ad Asti e si tratta del primo caso in Piemonte, il secondo in tutta Italiadopo l’entrata in vigore del nuovo codice della strada fortemente voluto dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini.

Cosa è successo

Come spiega a La Stampa il suo avvocato Jacopo Evangelista, il motociclista aveva fatto un incidente un mese mezzo fa, «in cui era risultato come la parte lesa». Una volta portato all’ospedale, l’uomo è stato soggetto a diversi esami medici, da cui è risultata la positività ai cannabinoidi. La polizia giudiziaria aveva incaricato la struttura anche di procedere con gli accertamenti sulla persona: ma il motociclista non è risultato «in stato di alterazione né da sostanze stupefacenti né da alcool» racconta il legale.

La restituzione della patente

All’uomo viene revocata la patente, secondo il nuovo codice della strada: «Prima della riforma era necessario che la persone fosse positiva ai cannabinoidi e in stato di alterazione. Ora quest’ultima condizione è stata tolta» sottolinea Evangelista.

Il motociclista però decide, usando il referto medico, di impugnare il provvedimento della prefettura poiché «il gip del tribunale di Pordenone ha sollevato la legittimità alla Corte costituzionale di questa parte del decreto Salvini».

Da questo presupposto il giudice di pace ha fissato l’udienza a marzo, in attesa che la Consulta si pronunci sulla questione. Nel frattempo però il tribunale ha restituito la patente.

Il decreto sicurezza spazza via i produttori di canapa del Piemonte: “Ci chiudono per ideologia”

Rassegna Stampa: 06 Giugno 2025 – Giulia Ricci – La STAMPA – Fonte: https://www.lastampa.it/torino/2025/06/06/news/decreto_sicurezza_stop_canapa_piemonte-15179513/

Accesa audizione in Regione, l’attacco di Avs e M5S: «Così si chiude un indotto da 25 milioni di euro e 1200 lavoratori»

Un indotto da 25 milioni di euro, 1200 dipendenti il cui 70% è sotto i 40 anni e un’eccellenza a livello europeo. Il mercato della canapa in Piemonte, dagli agricoltori ai negozianti, lancia un grido d’allarme: «Il decreto sicurezza ci ucciderà, mentre noi produciamo e commercializziamo un prodotto che non ha alcun effetto psicotropo. Chiediamo un tavolo di lavoro permanente».

Il provvedimento appena approvato dal governo Meloni, infatti, all’articolo 18 vieta la lavorazione, la distribuzione e la vendita delle infiorescenze della canapa coltivata e dei suoi derivati. Ma molti, essendo un’attività nuova, non hanno nemmeno un codice Ateco a cui ricorrere per chiedere eventuali ristori in caso di chiusura. Questo il centro della commissione regionale di ieri, a Palazzo Lascaris, dove sono stati auditi i rappresentanti del settore.


Settore agricolo e impatto economico: un miliardo di euro a rischio

«Questo provvedimento getta nell’incertezza un intero comparto agricolo – osserva il presidente di Cia Piemonte, Gabriele Carenini – come se la canapa fosse sinonimo di droga. Il comparto della canapa già oggi conta a livello nazionale oltre 23 mila occupati e ha un impatto economico diretto pari a quasi un miliardo di euro l’anno, con un altro miliardo aggiuntivo a livello indiretto.

Un settore ad alto valore aggiunto e, soprattutto, dall’enorme potenziale produttivo tra cosmesi, erboristeria, florovivaismo, bioedilizia, tutti impieghi tra l’altro ampiamente riconosciuti dalla legislazione europea. Non vogliamo la cassa integrazione di Stato, ma poter lavorare e produrre. Il governo ci ripensi».


Coltivazioni piemontesi e normative poco chiare

Nel solo Piemonte, le coltivazioni di canapa in pieno campo occupano una superficie di oltre settanta ettari, un dato probabilmente sottostimato, in quanto non comprensivo delle coltivazioni in serra e indoor.

«Le aziende – rileva il presidente provinciale di Cia Agricoltori delle Alpi, Luigi Andreis – ora si trovano nell’angoscia di dover scegliere se cessare l’attività, licenziare e mandare all’aria gli investimenti, oppure sfidare la legge, che non è chiara, perché non distingue tra ciò che si può e non si può fare. L’infiorescenza rappresenta la quasi totalità del business legato alla canapa. L’indeterminatezza della normativa italiana, fa sì che anche la filiera della bioedilizia si debba rivolgere all’estero per importare la canapa da fibra».


Le opposizioni attaccano: «Nessun effetto psicotropo, solo propaganda»

Con loro anche le opposizioni in Consiglio regionale: «Come ci hanno spiegato più volte – sottolinea Valentina Cera di Avs – nell’inflorescenza della canapa non c’è alcuna sostanza psicotropa, è come parlare di camomilla. Inoltre, non si può separare la pianta dal fiore, che serve per tantissimi settori, dall’alimentare ai tessuti alla cosmetica: è questo che rappresenta il 90% del fatturato.

Il governo Meloni vuole mandare un intero settore agricolo e giovane all’aria per pura ideologia, anzi, propaganda. Chiederemo che, come l’Emilia-Romagna, il Piemonte chieda l’impugnazione dell’articolo 18».


M5S: «Una svolta autoritaria, il Piemonte colpito»

«Altro che Decreto sicurezza, meglio chiamarlo Decreto vergogna – attaccano Sarah Disabato e Alberto Unia del M5S –. Una vera e propria svolta autoritaria da parte del governo, che ha deciso scientemente di colpire una delle filiere agricole più innovative e sostenibili degli ultimi anni.

Il Piemonte da solo rappresenta il 10% dell’intero settore, nel quale sono numerose le aziende agricole e commerciali attive nella filiera della canapa. Abbiamo posto – come previsto dal regolamento – una domanda articolata che ha raccolto in sé tutte le contraddizioni della norma: dal divieto totale sulle infiorescenze, alla sproporzione delle sanzioni penali, fino al rischio di incostituzionalità e violazione delle direttive europee.

Non meno importanti sono le ricadute ambientali del provvedimento: colpire la canapa significa colpire una coltura a bassissimo impatto idrico, rigenerante per i suoli, e ad alto assorbimento di anidride carbonica. Il governo ha trasformato una questione agricola e industriale in un terreno di propaganda ideologica. Ma non resteremo a guardare. La Regione stanzi subito le risorse necessarie per i ristori, affinché si possa dare un aiuto immediato a chi è stato duramente colpito da questo decreto assurdo».

Dl sicurezza, il dossier: la stretta della destra in 14 nuovi reati

Rassegna Stampa: 05 Giugno 2025 di Alessandra Ziniti – La Repubblica – Fonte: https://www.repubblica.it/politica/2025/06/05/news/dl_sicurezza_manifestazioni_forze_ordine_donne_carcere_cannabis_light-424648736/?ref=RHLM-BG-P4-S1-T1-fattidelgiorno22

Foto: A Bologna attivisti di Ultima generazione bloccano la tangenziale

Ecco cosa prevede il decreto approvato ieri in via definitiva

Le norme introducono pene o le aggravano. Non si potrà protestare interrompendo i lavori di opere pubbliche o il funzionamento delle infrastrutture strategiche. Mano libera agli 007 e protezione agli agenti che commettono reati nelle loro funzioni.

Le manifestazioni – Per un picchetto si rischia l’arresto

Blocco stradale e resistenza passiva. Basterà un sit-in che interrompe la circolazione o una protesta che ferma i lavori di un’opera pubblica per rischiare il carcere. È uno tra i più contestati nuovi 14 reati introdotti dal dl sicurezza che prevede la reclusione fino a un mese per chi occupa da solo una strada o una ferrovia. E da sei mesi a due anni se commesso da più persone.

Pene fino a otto anni per chi organizza rivolte nelle carceri e anche nei Cpr per i migranti con la punibilità persino di chi si rifiuta di eseguire un ordine.

Istituito anche il reato di occupazione arbitratia di immobile con procedura d’urgenza per lo sgombero.

Le forze dell’ordine – Scudo per chi compie atti illegali

Il dl incide in modo sostanziale anche sull’operato delle forze dell’ordine. Mani libere per gli 007 e le tanto attese tutele legali per gli esponenti delle forze dell’ordine indagati per ipotesi di reato commessi durante il servizio che adesso vedranno coperte le spese legali fino a 10.000 euro. Gli agenti potranno anche portare armi senza licenza fuori servizio.

Molto contestata la norma che prevede la non punibilità per agenti dei servizi segreti per una eventuale loro «partecipazione, direzione o organizzazione di associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico».

Le donne – In galera anche incinte o con figli

Le detenute incinte o con figli di età fino a tre anni d’ora in poi potranno finire in carcere, anche se comunque negli Icam, gli istituti a custodia attenuata. Finora la legge prevedeva per loro l’obbligo di rinvio di esecuzione della pena o il loro invio ai domiciliari, adesso il decreto sicurezza azzera questo obbligo e riserva ai giudici la valutazione dei singoli casi. Norma che ovviamente comporta che, nel caso in cui il giudice dovesse decidere per la detenzione, ad esempio per donne che hanno precedenti specifici o sono recidive, anche i bambini sotto i tre anni finirebbero in stato di reclusione negli Icam.

Gli stupefacenti – Stop alla vendita di cannabis light

La cannabis light seppure a basso contenuto di principio attivo viene equiparata a una droga. La nuova norma ferma la coltivazione e la vendita delle infiorescenze, con contenuto di Thc, per usi diversi da quelli industriali consentiti. Dunque il commercio o la cessione di infiorescenze viene punito con le norme del testo unico sulle sostanze stupefacenti. Chi vende prodotti a base di cannabis light d’ora in poi rischia una condanna fino a sei anni di carcere.

La norma mette fuori gioco un comparto che, tra negozi di prodotti a base di infiorescenze, e coltivatori, ora obbligati a ritirare i loro prodotti, dà lavoro in Italia a più di 11.000 persone.

* * * * * * *

Lo Stato e chi ha fatto il Decreto deve Vergognarsi per norme che mettono al bando non 11000 persone ma 20000 attività che producono o hanno pagato la Merce con l’impiego di almeno 30000 addetti. Tutti soldi che entrano nelle tasche dello stato con le tasse delle aziende che avevano l’autorizzazione da parte dallo Stato con la Legge 242/2016 per trattare e vendere la Cannabis Light con THC inferiore allo 0,5. Con il decreto sicurezza in un solo giorno si passa da COMMERCIANTI/ PRODUTTORI AGRICOLI a SPACCIATORI. Ora qualcuno dovrebbe spiegare agli imprenditori come si faccia a dare tempo zero e nessuna norma per smaltire il prodotto che ora non può più essere venduto. Prodotto che non può essere spostato trasportato e tantomeno esposto nei negozi. Nessuno spiega come un prodotto che sta in un negozio con tanto di fattura possa sparire dagli scaffali e probabilmente in caso di controllo si troverà nel retro come sostanza stupefacente. Quindi i rischi sono solo per chi onestamente esercita un lavoro del tutto legale ma si deve confrontare con parlamentari e ministri incapaci che prima fanno le norme e poi verificano se fanno danni. Questa è una vera e propria truffa nei confronti di chi paga le tasse e rispetta le leggi. Se investo in un’attività legale come è possibile che dopo che pago merce, l’IVA e le tasse “lo Stato” non mi rimborsa per aver lui cambiato idea sulla commercializzazione di un prodotto? Al minimo devi ricomprare tutta la merce e rimborsare le tasse e gli investimenti fatti negli anni di lavoro per quel tipo di attività. Tutto ha un prezzo, paga tu Stato che ti rimangi la parola data agli imprenditori, in modo che nessuno ci rimetta e soprattutto ora trova 30000 posti di lavoro a tutti quelli che oggi si ritrovano a piedi grazie a norme che contrastano con le norme Europee. Infatti permetti alle aziende europee che facciano concorrenza sleale nei confronti delle attività italiane che non possono vendere. Ma dall’Europa la Cannabis Light arriva tranquillamente e i nostri cari burocrati non possono farci nulla. Ora mi chiedo, è vero che molti politici volevano chiudere i negozi di Cannabis … ma non è che hanno deciso che vengano trasformati in Postriboli per le Escort? Quelle per cui hanno previsto il codice ATECO, ma forse la prostituzione è ancora illegale in Italia? Tranquilli i nostri ministri ci avranno già pensato, magari si faranno fare uno sconto ministero, magari con un bell’abbonamento!!!  Ma mi raccomando ….PRIMA GLI ITALIANI ….

                                                                                                   Commenti By Red Barol

Cannabis light, assolta EasyJoint. Colpo al ddl sicurezza

Rassegna Stampa: del 30 Maggio 2025 di Nadia Ferrigo – Fonte: La Stampa – https://www.lastampa.it/cronaca/2025/05/30/news/easyjoint_assolta_cannabis_light-15170596/

Cannabis light, Hemp Embassy Store, Milano (afp)

Marola: «Sei anni di calvario». L’avvocato Bulleri: «Per il diritto penale la canapa non è droga a prescindere, sconfessata la linea del governo»

La cannabis light non è droga, nessun effetto stupefacente e quindi nessuna condanna per spaccio. Si è concluso ieri a Parma con piena assoluzione il processo a Luca Marola, pioniere della cannabis light e patron di EasyJoint. «Tre anni per un’inchiesta grottesca che il procuratore di Parma Alfonso D’Avino, unico in Italia ha voluto concepire e altri tre anni di processo, a tratti surreale, non potevano portare che a questo risultato – ha dichiarato l’attivista Marola -. L’assoluzione così cristallina non può nascondere comunque il gigantesco torto subito dalla mia azienda: oltre 2 milioni di euro di magazzino distrutti, l’azienda pioniera della cannabis light e prima in Italia per fatturato cancellata, cinque anni di mancato guadagno. Sei anni di calvario giudiziario senza alcuna ragione, spese legali per difendermi da accuse che non avevano alcuna ragione d’esistere». Il procuratore capo di Parma Alfonso d’Avino aveva chiesto «una pena di 4 anni e 10 mesi e 55mila euro di multa per cessione e vendita di stupefacenti», volgarmente definito come spaccio.

Se la cannabis light sia droga oppure o no è la domanda cruciale a cui ha risposto il processo iniziato con il maxi-sequestro del luglio 2019, quando tra Canapaio Ducale e magazzini di EasyJoint la Finanza sequestrò oltre 600 chili di canapa per un valore di oltre 2 milioni di euro. La tesi dell’accusa è quanto riproposto nel ddl sicurezza del governo: se nel momento di vendita la destinazione d’uso del prodotto non rispetta una delle sei previste dalla legge, ma è una vendita al dettaglio, allora l’infiorescenza sulla canapa è droga. A seconda dell’uso per il ddl sicurezza lo stesso identico prodotto viene considerato droga oppure no. Anche se sta sotto la soglia capace di dare l’effetto drogante.

«La formula di assoluzione è piena, la migliore delle assoluzioni possibile. Attenderemo le motivazioni, ma si può dire perché evidentemente non è stato provato che la sostanza avesse effetto stupefacente» commenta Giacomo Bulleri, nel team di avvocati che ha seguito Marola nel processo. E ora che accadrà con il ddl sicurezza? «Questa sentenza è un precedente importante – continua Bulleri -. Marola non ha mia nascosto la sua condotta, ma ha sempre rivendicato la propria attività. La procura di Parma riteneva che i fiori fossero uno stupefacente a prescindere da una qualità certificata di canapa e dal suo livello effettivo di Thc. Che è la stessa impostazione del ddl. Ma a Parma si è deciso che i fiori non sono droga per il diritto penale. Vuol dire che pure se si faranno dei processi ai negozianti che vendono la cannabis light sulla base delle norme del ddl, se non c’è l’efficacia drogante i tribunali continueranno ad assolvere».

Assolto inventore cannabis light: “Non era spaccio, ma ora un decreto vieta le infiorescenze”

Rassegna Stampa: 30 Maggio 2025 di Viola Giannoli – Fonte Repubblica – https://www.repubblica.it/cronaca/2025/05/30/news/assolto_inventore_cannabis_light_luca_marola_spaccio-424638116/?ref=RHLM-BG-P18-S1-T1-fattidelgiorno3

Dopo sei anni cade l’accusa per Luca Marola, parmigiano: “Una inchiesta grottesca non poteva portare ad altro che questo”

L’uomo che in Italia ha inventato la cannabis light è innocente. Luca Marola, 48 anni, parmigiano, il primo a dare un nome commerciale alle infiorescenze essiccate di piante con quantità estremamente basse di Thc (il tetraidrocannabinolo, responsabile dell’effetto psicoattivo) e ricche di Cbd (il cannabidiolo, dall’effetto rilassante simile alla camomilla), è stato assolto. “Una inchiesta grottesca non poteva portare ad altro che questo”, commenta lui appena uscito del tribunale di Parma.

Ci sono voluti sei anni, tre di inchiesta e tre di processo, per dire che “il fatto non sussiste”. Quale fatto? Marola era alla sbarra dal 3 novembre del 2022 perché accusato di spaccio, rischiava 6 anni di carcere. Nel 2017 aveva iniziato a produrre cannabis light, aveva presentato questi barattolini di infiorescenze coltivati da altri ma confezionati e venduti da lui con il marchio Easy Joint a una fiera di settore e aveva vinto il premio come prodotto innovativo. Si poteva fare?

I fiori di canapa non erano illegali di per sé perché avevano un The inferiore allo 0,2%, ampiamente i limiti di legge. Ma al tempo stesso la legge 242 del 2016 sulla canapa, nata per incentivarne la filiera, ha una lacuna: non vengono citate le infiorescenze, il prodotto più importante. Anche per questo, come provocazione giuridica, Marola aveva iniziato a vendere il fiore di canapa industriale, la cui coltivazione era lecita. In pratica vendeva un prodotto non vietato, ma ignorato dalla legge, che non era esplicitamente illegale e al tempo stesso non era chiaramente lecito.

Marola si chiedeva: se la cannabis light non ha effetto drogante come può ricadere nel Testo unico sulle droghe e dunque essere vietata? La procura di Parma la pensava invece diversamente sostenendo che la destinazione d’uso di quella coltivazione non fosse legale. Ma ha vinto Marola.

Le motivazioni si conosceranno entro tre mesi ma intanto Easyjoint racconta: “Già alla nostra fondazione, nel 2017, avevamo dichiarato che il nostro obiettivo e la nostra ragion d’essere erano e sono il pieno riconoscimento della liceità della vendita del fiore di canapa. Ci abbiamo provato senza successo con la politica e con le istituzioni, ci siamo riusciti nel primo processo penale”.

Il paradosso è che se fino a pochi mesi fa questa vittoria poteva essere decisiva per l’intero comparto (10 mila posti di lavoro, mille negozi e 150 milioni di euro potenziali) con il nuovo decreto del governo Meloni che rende illegale la produzione e la vendita del fiore, spiega Marola, “è solo una tappa, decisiva ma non risolutiva, del percorso che deve pertanto proseguire”.

Intanto si fa festa. Anche se Marola ha parole durissime per il procuratore di Parma Alfonso D’Avino, parlando di “barbarico abuso di potere” e di “scorribande giudiziarie”. “L’assoluzione così cristallina – afferma – non può nascondere comunque il gigantesco torto subito: oltre 2 milioni di euro di magazzino distrutti senza alcuna ragione, l’azienda pioniera della cannabis light e prima in Italia per fatturato cancellata senza alcuna ragione, cinque anni di mancato guadagno senza alcuna ragione, sei anni di calvario giudiziario senza alcuna ragione, spese legali per difendermi da accuse che non avevano alcuna ragione d’esistere”.

Droga alla guida, cosa cambia con la circolare del ministero che sconfessa Salvini

Rassegna Stampa: Riccardo Piccolo del 07.05.2025 – WIRED – Fonte: https://www.wired.it/article/droga-guida-patente-legge-circolare/#:~:text=La%20riforma%20del%20codice%20della,bastava%20la%20positivit%C3%A0%20al%20test.

Il testo è stato inviato a prefetti e Regioni. Ma il braccio di ferro sulla norma del codice della strada si è già spostato nelle aule di tribunale

La circolare prova a correggere l’applicazione della norma, precisando che per accusare un conducente è necessario accertare che la sostanza produca ancora i suoi effetti nell’organismo durante la guida

Droga alla guida, ci sono novità riguardo alle norme e, soprattutto, alla loro applicazione. I ministeri dell’Interno e della Salute hanno inviato una circolare alle prefetture e alle forze dell’ordine che cerca di precisare le norme del nuovo codice della strada approvato lo scorso novembre. La controversa riforma aveva eliminato il requisito dello “stato di alterazione psico-fisica” per sanzionare chi guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti, prevedendo sanzioni alla semplice positività del test. Ora la circolare tenta di correggere questa impostazione, contraddicendo la linea del ministro dei Trasporti Matteo Salvini. Ma il documento ministeriale, per quanto autorevole, potrebbe non essere sufficiente a risolvere la questione, in quanto non ha il potere di modificare una legge formalmente in vigore.

Droga alla guida, dalla riforma contestata alla circolare correttiva

La riforma del codice della strada approvata nel novembre 2024 aveva introdotto un cambiamento radicale nell’articolo 187: per punire chi guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti non era più necessario dimostrare lo “stato di alterazione psico-fisica”, bastava la positività al test. Questo principio aveva sollevato numerose critiche da parte di associazioni, movimenti antiproibizionisti ed esperti di diritto. Il problema fondamentale era che la norma rischiava di sanzionare pesantemente anche chi aveva fatto uso di sostanze giorni o settimane prima, quando queste non producevano più alcun effetto sulla capacità di guida.

Le sanzioni previste dalla riforma erano particolarmente severe: un’ammenda da 1.500 a 6.000 euro, l’arresto da sei mesi a un anno e la sospensione della patente da uno a due anni. Un altro effetto collaterale della legge riguardava chi assume medicinali regolarmente prescritti, che rischia di essere sanzionato, poiché molti farmaci contengono sostanze psicotrope elencate nel Dpr 309/1990, ovvero la legge italiana sugli stupefacenti. Un problema concreto per migliaia di persone che utilizzano farmaci come ansiolitici, antidepressivi o antidolorifici.

La situazione ha raggiunto un punto critico quando, all’inizio di aprile, il tribunale di Pordenone ha sollevato formalmente dubbi di costituzionalità sulla norma, chiedendo l’intervento della Corte costituzionale. Come riporta Il Sole 24 Ore, i giudici pordenonesi hanno ritenuto “manifestamente irragionevole e iniquo” punire la mera positività al test senza alcuna indagine sugli effetti sulla capacità di guida, violando così il principio di offensività, secondo cui un comportamento può essere punito solo se danneggia o mette in pericolo un bene giuridico protetto (in questo caso, la sicurezza stradale). È proprio in risposta a questi dubbi che l’11 aprile è stata emessa la circolare dei ministeri dell’Interno e della Salute.

I limiti della circolare e la questione costituzionale

La circolare prova a correggere l’applicazione della norma, precisando che per incriminare un conducente è necessario accertare che la sostanza produca ancora i suoi effetti nell’organismo durante la guida” e che l’assunzione sia avvenuta in un periodo “prossimo” alla guida del veicolo. La circolare, chiarisce poi, che le analisi dovranno concentrarsi sui metaboliti attivi (cioè le molecole che indicano un effetto ancora in corso delle sostanze), escludendo i metaboliti inattivi che testimoniano solo un’assunzione avvenuta in precedenza. Perciò il documento stabilisce che sangue e saliva devono essere gli unici liquidi biologici idonei per la verifica, mentre i test delle urine dovranno essere esclusi perché non indicativi di un’intossicazione in atto.

Tuttavia, nonostante le intenzioni correttive, la circolare ministeriale presenta due criticità che ne limitano l’efficacia. La prima è di natura giuridica: nel sistema italiano, le circolari non hanno valore normativo, ma costituiscono solo indicazioni interne rivolte alla pubblica amministrazione. Le leggi approvate dal parlamento restano gerarchicamente superiori, il che significa che mentre le forze dell’ordine potrebbero attenersi alle istruzioni della circolare, i giudici potrebbero continuare ad applicare la norma nella sua forma più rigida. La seconda criticità riguarda degli aspetti tecnici: la circolare suggerisce di analizzare sangue e saliva per rilevare i cosiddetti metaboliti attivi, ovvero le tracce che indicano un effetto ancora in corso della sostanza. Tuttavia, come ha evidenziato dal Sole 24 Ore, al momento non esistono soglie scientificamente affidabili per stabilire con certezza quando una persona sia effettivamente sotto l’effetto di una droga e quando, invece, la sostanza sia semplicemente ancora presente nell’organismo senza influenzare le capacità di guida.

In questa situazione di confusione, solo due soluzioni sembrano possibili per i casi di sospetto uso di droga alla guida. La prima è attendere la pronuncia della Corte costituzionale sui dubbi sollevati dal tribunale di Pordenone. Se la Corte dichiarasse incostituzionale l’articolo 187 nella parte in cui punisce la mera positività al test, la norma tornerebbe automaticamente a richiedere la prova dello stato di alterazione. La seconda soluzione è un nuovo intervento del parlamento che modifichi formalmente la legge, ripristinando il requisito dell’alterazione psico-fisica. Nel frattempo, comunque, la circolare escluderà probabilmente molti casi controversi, anche se l’applicazione della legge dipenderà ancora dall’interpretazione dei singoli giudici, con il rischio di decisioni ingiuste.